Il Napoli è campione d’Italia. Lo scudetto era ormai scontato da tempo, adesso è ufficialmente cucito sulle maglie azzurre. Il pareggio contro l’Udinese fa dire anche alla matematica che la squadra di Luciano Spalletti è irraggiungibile per tutti gli altri. Il suggello su un campionato dominato, con gli azzurri soli in vetta dalla nona giornata ininterrottamente: solo la Juve di Conte nel 2014/2015 aveva fatto meglio, guidando la classifica dalla settima di andata. Soprattutto le vittorie in trasferta, con 43 punti su 47 conquistati finora, hanno sancito distanze siderali rispetto alle altre. E dunque il Napoli è campione: senza acquisti roboanti, anzi, con cessioni eccellenti, con un allenatore che campionati ne aveva vinti solo in Russia, tagliando il monte ingaggi e puntando su un gioco divertente ed entusiasmante. Sì, è un bel messaggio per il calcio quello che arriva da Napoli.

IL MERCATO
Uno Scudetto che arriva nella stagione in cui probabilmente la piazza se lo aspettava di meno. Se oggi l’umore di Napoli è naturalmente alle stelle, in estate il clima era di tutt’altro tipo. Il campionato precedente si era chiuso con l’abbandono (l’ennesimo) del sogno tricolore in due disfatte incredibili: con la Fiorentina in casa e ad Empoli, con la squadra in vantaggio per 2 a 0 all’80esimo e poi rimontata di tre gol. Il mercato poi aveva visto andar via uno dopo l’altro tutti i beniamini del pubblico: Insigne, Mertens, Fabian Ruiz, Koulibaly…sostituiti da Kvaratskhelia, da Kim oggetto di meme, da giocatori provenienti da squadre di medio bassa classifica come Ostigaard e Simeone, più l’investimento principale, Raspadori. E in un momento ben preciso, la firma di Dybala con la Roma, la piazza che sognava l’argentino si era infiammata, contestando il mercato low profile della società. Persino Spalletti nelle dichiarazioni dal ritiro a proposito del campionato a venire aveva parlato di piazzamento Champions difficile da ripetere. Forse l’estate più complicata dell’era De Laurentiis.

LE ZAMPATE IN TRASFERTA
Ma è noto che in fin dei conti riaccendere l’entusiasmo in una piazza altamente infiammabile non è impresa ardita, specie se le prime due partite si chiudono con due vittorie, nove gol fatti e due subiti e mostrano soprattutto che Kvaratskhelia è un fenomeno assoluto e che Kim potrebbe non far rimpiangere Koulibaly. Certo, poi il doppio pareggio contro Fiorentina e Lecce lascia presagire un Napoli col solito vizio del “braccino”: quello che ne aveva puntualmente interrotto i sogni nei campionati precedenti. Il momento significativo però arriva allora: gli azzurri mostrano di non aver alcuna intenzione di cadere nei soliti psicodrammi del passato e mettono giù una serie di 11 vittorie consecutive. Tra queste le trasferte di Roma, sia contro la Lazio che contro i giallorossi, di Milano contro il Milan e di Bergamo: sono le quattro partite in cui il Napoli si piazza davanti a tutte e dice con la prepotenza ormai matura e senza isterismi di Osimhen di essere la più forte e che le avversarie, peraltro balbettanti, non l’avrebbero più ripresa.

I NUMERI RECORD
In quel momento il Napoli è una macchina da guerra: nel filotto di 11 vittorie segna 27 gol e ne becca solo 9, regolando anche le avversarie di Champions con 4 gol al Liverpool, 6 all’Ajax e così via. Uno spiraglio pare riaprirlo la ripresa dopo i Mondiali, con la vittoria dell’Inter, prima sconfitta degli azzurri che secondo molti evidenzia l’imminente e solito crollo della squadra di Spalletti. Ma arriva subito la vittoria a Genova, contro la Samp, e soprattutto la goleada alla Juventus, reduce da 7 vittorie consecutive, al Maradona: 5 a 1 in una gara senza storia, che di fatto chiude di nuovo il campionato. Alla sconfitta contro l’Inter seguono infatti altre 8 vittorie consecutive che fanno il vuoto dietro: le avversarie si ritrovano ad almeno 15 punti di distanza e con le giornate che passano appare evidente che il discorso Scudetto, al netto della batosta per 4 a 0 rimediata al Maradona contro il Milan, sia praticamente chiuso.

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