La Germania ha spento i suoi ultimi tre reattori. Avevano un’età di oltre 30 anni e fornivano il 4% della sua energia elettrica. La Francia produce il 70% dell’elettricità tramite il nucleare e ha deciso di avviare il “rinascimento nucleare”.

Qual è la decisione migliore? Che dice davvero la scienza sul nucleare? È vero che chi si oppone al nucleare “è come i no-vax”? Ed è possibile che una grande nazione europea come la Germania stia andando “contro la scienza” come qualcuno sostiene?

Mi occupo di divulgazione scientifica da oltre 10 anni e all’inizio era un argomento per pochi appassionati. Ora è diventato molto più popolare ma ha preso una deriva preoccupante. Divulgazione significa raccontare in modo semplice al pubblico e con lo stesso rigore di un articolo scientifico una conoscenza che è già consolidata per gli specialisti, evidenziando costi e benefici nella situazione specifica.

I vaccini hanno salvato innumerevoli vite umane, ma si diventa forse no-vax dicendo che contro il Covid il “vaccino italiano” non sia stato utile? Copiare gli altri paesi non sempre funziona nella specifica realtà italiana.

Sul nucleare (e non solo) sto vedendo una pericolosa propaganda ideologica e politica spacciata per divulgazione scientifica. Alcune persone, a causa della “bolla social”, credono di essere depositarie di una “verità” comprensibile solo a pochi eletti. Possono arrivare ad augurare la morte ai non vaccinati o attaccare con violenza verbale chi dubita che il nucleare in Italia sia una buona idea. Il “papà” della divulgazione scientifica, Piero Angela, prese posizioni molto decise contro le pseudoscienze ma non ha mai alzato i toni o insultato alcuno.

Ma torniamo alla Francia, spesso idealizzata come un paradiso energetico a basse emissioni di CO2. L’età media dei suoi 56 reattori supera i 35 anni, mostrando problemi di affidabilità. Lo scorso anno metà sono stati disconnessi dalla rete per riparare i danni dovuti alla corrosione da stress. La produzione di energia è calata del 30% e la Francia da tradizionale esportatrice di energia elettrica è diventata importatrice. La società elettrica francese statale Edf ha fatto registrare perdite per 19 miliardi di euro. Il prezzo primario del megawatt ora per il primo quadrimestre del 2024 sarà di 419 euro in Francia rispetto ai 169 della Germania.

Se la Francia vuole continuare con i reattori nucleare, è costretta a un piano per ammodernarli e costruirne di nuovi nei prossimi anni, come annunciato da Macron. Le perplessità sulla realizzazione di questo progetto provengono da una fonte autorevole come il Financial Times, che non è certo il riferimento di chi è contrario ai grandi investimenti.

I reattori non si comprano al supermercato: si costruiscono in serie solo grazie a un grande piano di investimento come quelli presenti al momento in Cina o India, e non in Europa. Per quello francese servirebbe assumere e formare nei prossimi anni circa 100.000 figure professionali.

Una delle criticità principali sono le saldature. Preparare del personale specializzato che sappia operare in tutti i contesti di un reattore richiede numerosi anni. Non a caso, la perdita di competenze rispetto agli anni ‘70 e le conseguenti saldature imperfette sono state il motivo principale per i ritardi del reattore di Flamanville, in costruzione dal 2007 e che sarà ultimato (forse) nel 2024, in ritardo di dodici anni sulla data di consegna prevista.

L’avvio lavori del primo nuovo reattore francese è previsto per la fine del 2027 e la data (secondo molti troppo ottimistica) per la prima produzione di energia nel 2037, cioè tra 14 anni.

Vista le problematiche del progetto francese, non è un caso che sia costretta al proselitismo tra gli altri paesi europei. La Germania ha semplicemente deciso di rinunciare a quel 4% di energia da nucleare e puntare sulle rinnovabili, che sono in fortissima crescita nel mondo. Si tratta di una scelta basata su costi e benefici, piuttosto che “antiscienza” o “crimine ambientale”. C’è anche un aspetto spesso sottovalutato. Il mercato del combustibile nucleare e dell’industria nucleare è oggi dominato dalla compagnia statale russa Rosatom, (qui un articolo di Nature Energy e qui uno divulgativo).

In questo settore non ci sono state ancora sanzioni a causa dell’opposizione dei paesi nuclearisti europei. Siamo sicuri che dopo quella da gas sia una buona idea cascare in un’altra dipendenza energetica nucleare dalla Russia?

Alcuni sostengono che un programma atomico in Italia servirebbe per “decarbonizzare” e “combattere le emissioni climalteranti”, un tema molto sentito soprattutto dalle giovani generazioni.

Se la Francia avrà una sfida difficile, l’Italia, che inizia da ancora più indietro, ne avrebbe una molto più complessa. Ricordiamo bene che il programma francese prevede ben 14 anni per la prima produzione di energia. In Italia ci vorrebbe di più, dovendo scegliere i siti per le centrali. Ammesso che “vada tutto bene”, il nucleare italiano potrebbe produrre qualcosa a partire dai primi anni ‘40 e difficilmente fornirebbe un contributo rilevante entro il 2050. La Cina, che è il paese che al mondo costruisce più reattori a distanza di oltre 30 anni dall’avvio del primo reattore (1991) produce solo il 5% della sua elettricità da nucleare (417 TWh). Eolico e fotovoltaico invece, pur essendo partite molto dopo (di fatto dal 2008), hanno raggiunto già il 15% (1180 TWh) con una crescita record nel 2022 (+20%, circa 200 TWh).

Anche partendo domani stesso, il nucleare italiano sarebbe totalmente inutile per gli obiettivi indicati dall’IPCC: il 2025 per il picco delle emissioni, e il 2030 per il dimezzamento rispetto al 1990. Il nucleare in Italia è anche dannoso, sottraendo investimenti alle fonti rinnovabili che seppur con dei limiti il contributo invece lo danno. Si devono ridurre le emissioni da prima possibile, non partire tra 20 anni.

Sul nucleare in italia c’è quindi una propaganda antiscientifica che nasconde i problemi, come quello enorme delle tempistiche. Pericolosa perché negazionista del problema climatico. Affidiamoci alla scienza e non a chi spaccia posizioni ideologiche per scienza.

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La transizione ai veicoli elettrici non si ferma più. L’Italia è indietro, ma passerà anche questa

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