Sono stati condannati ad un mese di carcere (pena sospesa) per aver molestato verbalmente una ragazza di 19 anni. Tre militari che, ironia della sorte, nel marzo del 2021 a Milano, erano addetti all’operazione “Strade sicure”, sono stati giudicati colpevoli da Luigi Fuda, giudice monocratico. Marisa Marchini, vice procuratrice onoraria, aveva chiesto due mesi di carcere senza la concessione delle attenuanti generiche perché gli imputati non avevano mai chiesto scusa alla ragazza e “avrebbero dovuto tutelare la tranquillità pubblica, invece hanno creato turbamento nella ragazza, supportandosi e spalleggiandosi a vicenda”.

I fatti avvennero in un bar e dopo le molestie che si sono protratte in maniera petulante (il difensore ha detto che i tre militari avevano solo invitato la ragazza a bere con loro) erano intervenuti anche i genitori della 19enne. Molti quotidiani riportano che si tratterebbe della prima condanna per catcalling, quella manifestazione odiosa di molestie verbali a sfondo sessuale che le donne ricevono quando camminano per strada o locali pubblici. Il fenomeno è stato denunciato più volte come comportamento prevaricante, offensivo e invasivo che limita la percezione della sicurezza di chi ne è bersaglio eppure continua ad essere minimizzato e banalizzato.

La narrazione delle donne, i loro vissuti riguardo alle molestie verbali non sempre sono accolte con rispetto o prese in considerazione seriamente e una buona parte dell’opinione pubblica ritiene che la denuncia sia una esagerazione: “non si può più fare un complimento ad una donna”, “sarà la fine del corteggiamento”. Tutti questi comportamenti non sono galanterie ma atti di prevaricazione che vengono messi in atto con arroganza.

È interessante che, secondo quando riportato dai quotidiani, all’epoca dei fatti, uno dei militari disse che la diciannovenne “doveva restare a casa”. Le stesse parole del difensore che nel documentario Processo per stupro, affermò che se la ragazza fosse stata a casa accanto al focolare “non le sarebbe accaduto nulla”. Dal 1977 al 2021 (quando avvennero i fatti) sono trascorsi 44 anni eppure la risposta alle aggressioni sessuali più o meno gravi che sono rivolte alle donne è quella di stare a casa. Lo spazio pubblico è ancora percepito da una parte non trascurabile della popolazione come uno spazio maschile? E la presenza delle donne non accompagnate in alcuni luoghi e orari è inopportuna?

Le conseguenze del cat calling non sono da prendere alla leggera. Diversi studi riportano che almeno 7 donne su 10, il 69%, si è sentita minacciata dopo essere stata seguita da un uomo o da un gruppo di uomini e il 13% delle intervistate ha riportato di essere stata molestata almeno 5 volte. Uno studio della UN Woman UK realizzato nel 2021, ha rilevato su un campione di 1089 donne tra i 18 e i 55 anni che il 71% delle donne intervistate, ha subito una molestia sessuale in un luogo pubblico mentre uno studio della Cornell University del 2016, ha rilevato come su 16000 donne l’84% subisce molestie di strada prima dei 17 anni.

Dopo essere stata vittima di catcalling, la maggior parte delle donne evita il luogo dove è avvenuta la molestia e mette in atto strategie per contenere l’ansia limitando la propria libertà di spostamento e rassegnandosi a convivere con un senso di insicurezza: la conseguenza della molestia verbale diventa una conferma di ciò che il sessismo impone alle donne, ovvero di stare a casa.

L’attenzione al fenomeno viene sollecitata da spontanei movimenti sui social che denunciano, periodicamente, la percezione di insicurezza delle donne, o purtroppo, dopo casi che arrivano in cronaca, come le molestie (non solo verbali) che sono state raccontate da alcune ragazze in occasione del raduno degli alpini. Eppure non riusciamo ancora a contrastare il problema efficacemente. Ogni denuncia pubblica suscita una massiccia contro narrazione in cui si spiega alle donne che ricevere le attenzioni degli uomini è una gratificazione di cui dovrebbero essere grate in quanto riconosciute come sessualmente attraenti. Gli insulti? Le volgarità? Esuberanze che si sedano con uno schiaffone. E via di banalità in banalità.

In Francia, nelle Filippine, in alcuni Stati americani, il cat calling è un reato. Sinceramente non so quanto sia efficace affrontare ogni problema sociale penalmente o solo penalmente. In Italia le misure per condannare il cat calling come abbiamo visto, ci sono, è il reato di molestia, l’articolo 660 del codice penale. Sarebbe importante invece affrontare la questione del rapporto di uomini e donne con lo spazio pubblico, non solo nelle scuole ma anche nei quartieri, sui media, in maniera adeguata rispettosa del vissuto delle donne, scevra da idiozie viriloidi o luoghi comuni o opinioniste ed opinionisti che buttano tutto in caciara.

Perché le “Strade sicure” non le fanno i militari ma le donne che le attraversano e le frequentano.

@nadiesdaa

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