I quasi 3 milioni di precari contati dall’Istat e i contratti a termine di poche settimane o pochi giorni non bastano. Le aziende hanno bisogno di “un fisiologico margine di discrezionalità operativa per fare fronte alle esigenze di flessibilità”. Così la bozza di Relazione tecnica del decreto Lavoro giustifica la scelta di togliere gli ultimi paletti rimasti per il ricorso al lavoro a termine, dopo che nel 2021 tutte le forze politiche hanno deciso di depotenziare il decreto Dignità. Ecco la cronistoria delle modifiche legislative degli ultimi anni.

Il precariato è progressivamente aumentato dopo la legge Biagi e esploso a valle della liberalizzazione disposta dal decreto Poletti del 2014. A metà 2018 gli occupati a termine hanno superato i 3 milioni e il governo Conte ha cercato di invertire la rotta. Il decreto Dignità ha ridotto da 36 a 24 mesi la durata massima dei rapporti di lavoro a termine e fissando un tetto del 20% alla quota di contratti precari rispetto a quelli a tempo indeterminato sottoscritti dall’azienda. Solo il primo contratto, di durata fino a 12 mesi, può essere privo di causale. Prorogarlo o rinnovarlo, oppure sottoscriverne uno più lungo, è consentito in presenza di “esigenze temporanee e oggettive estranee all’ordinaria attività”, “esigenze di sostituzione di altri lavoratori” o necessità legate a “incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria”.

Ci sono sempre state eccezioni: dopo i 24 mesi è possibile stipulare un altro contratto di un anno presso la sede “protetta” dell’Ispettorato del lavoro, cosa che dovrebbe garantire la bontà dell’accordo. E molti contratti nazionali, aziendali e territoriali hanno previsto deroghe alla durata e al tetto del 20%. Dopo l’approvazione del decreto, le trasformazioni dei contratti a termine in tempi indeterminati sono molto aumentate. E non si è registrata l’esplosione delle cause di lavoro paventata all’epoca, tra gli altri, anche dall’allora presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro Marina Calderone.

Nel 2021, a fronte della crisi causata dal Covid le causali sono state temporaneamente sospese fino alla fine dell’anno. Qualche mese dopo, via emendamento del dem Antonio Viscomi identico ad altri di Forza Italia, Lega e Fdi e con il via libera del relatore M5s Giuseppe Buompane, il decreto Sostegni bis ha trasformato le deroghe in una nuova causale, costituita da “specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di cui all’articolo 51“, cioè i ccnl nazionali, territoriali e aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e contratti aziendali firmati dalle loro rappresentanze interne o dalla rsu.

Non solo: fino al 30 settembre 2022 è stato consentito di stipulare contratti a tempo determinato di durata superiore a un anno, sempre se previsto dai contratti collettivi, anche con lavoratori che la stessa azienda avesse già impiegato a termine per due anni. Aggirando così il tetto dei 24 mesi.

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