Scrisse una volta Cesare Pavese, in un suo intervento sul fascismo e la cultura, che “la natura del fascismo, come di tutti i vizi, è proprio quella di rotolare una china divenendo valanga, sfuggendo anche al controllo dei suoi capi”. Osservando le reazioni alla vignetta di Natangelo sulla sostituzione etnica nella camera da letto del ministro Lollobrigida, si ha in effetti l’impressione di vedere una vera e propria valanga di arroganza del potere. Abituati a pseudogiornalisti che li osannano senza alcun senso della propria dignità, lorsignori perdono le staffe di fronte a un bravo disegnatore satirico che fa bene il suo lavoro. Ed è sicuramente un primo elemento costitutivo del fascismo questo mettere i governanti e i politici in genere su un piedistallo che li sottrae ad ogni critica, a cominciare proprio dai sacrosanti sberleffi della satira.

Guai quindi a sottovalutare le avvisaglie di un vero e proprio regime autoritario che si vanno intensificando, proprio mano a mano che questo governo rivela ogni giorno di più da un lato la profonda incapacità e incompetenza dei suoi membri (coll’unica eccezione di Guido Crosetto, indiscusso esperto dell’industria degli armamenti e abilissimo lobbysta nell’esportazione militare ovunque possibile), e dall’altro la sua più totale subordinazione ai diktat del potere economico e della Nato.

Tornando alla vignetta di Natangelo e alle spropositate reazioni che ha suscitato, colpisce il fatto che alle stesse si accodino taluni esponenti della “opposizione” che aspirano ovviamente a svolgere il ruolo di complici e compartecipi del regime che si va delineando, si tratti dei transfughi del Terzo Polo in via di avanzata smobilitazione, ovvero di esponenti del Pd. E’ del resto una caratteristica tipica dei regimi autoritari in statu nascendi quella di esercitare una forte attrattiva nei confronti del ceto politico allo sbando, che si riversa su di esso come mosche sul miele o altri meno nobili elementi. Del resto a ben vedere la Meloni è l’autentica continuatrice di Draghi e della sua agenda e quindi non vi sono contraddizioni sostanziali fra lei e forze come il Pd che di Draghi sono stati e continuano ad essere (Schlein o no) i zelanti esecutori. Le uniche divergenze tra Meloni e Schlein riguardano aspetti in fondo secondari dell’azione politica, su quelli di fondo, a cominciare dalla guerra, c’è pieno accordo.

Alla vigilia del 25 aprile, settantottesima ricorrenza della Liberazione del Paese dal nazifascismo, il tema dell’antifascismo emerge, quindi, com’è inevitabile che sia, ma, se ci limitiamo ai deprimenti dibattiti interni alla classe politica, in modo del tutto falsato ed equivoco. Ha buon gioco Gianfranco Fini a rimbrottare La Russa e la stessa Meloni, affermando che la Costituzione repubblicana è in realtà intrisa di antifascismo, non solo per l’esistenza della Disposizione transitoria, costantemente inapplicata, che vieta la ricostituzione del partito fascista e per il fatto che, come ricordava Calamandrei, essa nacque dal sangue dei partigiani, ma anche per l’esistenza di una serie di valori, come la libertà, la giustizia e la solidarietà, che sono innegabilmente e irrimediabilmente antifascisti.

Fini dimentica però di citare il ripudio della guerra, anch’esso un valore antifascista, dato che furono moltissimi a diventare antifascisti proprio in ripulsa alla guerra devastante in cui Mussolini aveva trascinato il Paese a seguito di Hitler. E dimentica anche l’uguaglianza, oggi fortemente a rischio, sia nel suo aspetto formale (allucinante la proposta di concedere ai parlamentari una franchigia che consentirebbe loro di insultare impunemente ognuno sui social) che soprattutto sostanziale, dato l’espandersi di fenomeni come la precarietà sul lavoro e il razzismo nei confronti degli immigrati, colpevoli di tentata sostituzione etnica solo perché vogliono sottrarsi a situazioni disumane e lavorare onestamente nel nostro Paese.

L’antifascismo di cui abbiamo oggi bisogno, che è poi quello di sempre, non può quindi essere quello di facciata che pure, come pare, provoca più di un mal di pancia a La Russa, Meloni ed altri, ma deve essere quello radicato nella necessità di autentica trasformazione democratica del Paese a partire dai bisogni dei ceti più deboli, oggi svillaneggiati, umiliati e affamati dalla pessima classe politica al potere. Quello cioè che assuma e prenda sul serio, per realizzarli, i principi contenuti nell’art. 3, secondo comma (rimozione delle disuguaglianze sostanziali) e 11 (ripudio della guerra) della nostra Costituzione repubblicana.

Per costruire finalmente un’Italia all’altezza delle esigenze dei suoi cittadini vecchi e nuovi e di un suo ruolo autonomo e sovrano nell’ambito di un ordine internazionale in via di democratizzazione dopo secoli di ingiusto e nocivo predominio occidentale. Per rimuovere l’immondizia in cui siamo sommersi e tenere fede alle aspettative e ai progetti politici per i quali sono morti oltre centomila partigiani e soldati dell’Esercito di liberazione.

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