Alla fine ce l’ha fatta. L’ex ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, diventerà l’inviato speciale dell’Unione europea per il Golfo Persico. La sua candidatura, spinta da Mario Draghi e accolta molto positivamente dall’Alto rappresentante per la Politica Estera dell’Ue, Josep Borrell, che aveva l’ultima parola sulla nomina, è andata a buon fine nonostante l’ostacolo improvviso rappresentato dallo scandalo Qatargate che ha investito il Parlamento europeo e una folta compagine di italiani, tra europarlamentari di ieri e di oggi, funzionari e assistenti.

La notizia è da considerarsi ufficiale, dato che il Corriere della Sera scrive di aver potuto visionare una lettera datata 21 aprile che Borrell ha inviato agli ambasciatori del Comitato politico e di sicurezza degli Stati membri scrivendo che “dopo un’attenta riflessione” Di Maio è stato indicato come “il candidato più adatto” all’incarico. L’Alto rappresentante propone poi di nominarlo “per un periodo iniziale di 21 mesi, a partire dal 1 giugno 2023 fino al 28 febbraio 2025″.

Nonostante il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, avesse già dichiarato che il governo non si sarebbe opposto alla nomina di Di Maio, anche se non si trattava di una proposta dell’esecutivo, la notizia ha scatenato la reazione della Lega. “Gli Italiani hanno votato, hanno scelto e continuano a scegliere il centrodestra, non sinistra o grillini. Quella di Bruxelles è una indicazione vergognosa, un insulto all’Italia e a migliaia di diplomatici in gamba”, hanno dichiarato fonti del Carroccio.

Il nome di Di Maio circola ormai da mesi ed è sempre stato considerato il favorito per il nuovo ruolo pensato dal commissario europeo. Un compito estremamente delicato perché, oltre alle questioni legate alla sicurezza, alla Difesa e commerciali, dovrà occuparsi soprattutto del tema degli approvvigionamenti energetici, diventato cruciale dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Ed è anche per questo che, dal 9 dicembre, quando è scoppiato lo scandalo Qatargate, la sua candidatura è sembrata fortemente a rischio. In Europa si parlava di “Italian Job“, di “scandalo all’italiana“, per le presunte mazzette pagate da Marocco e Qatar per influenzare le decisioni del Parlamento Ue. Proprio la presenza di Doha tra i governi stranieri coinvolti aveva fatto ipotizzare che la candidatura di un italiano nel nuovo ruolo pensato per dialogare con gli Stati di quell’area del mondo non era da considerarsi più adeguata, nonostante l’ex ministro non sia stato nemmeno sfiorato dalla vicenda. Vero è che il suo principale avversario nella corsa alla poltrona, l’ex commissario europeo per le Migrazioni e gli Affari Interni, Dimitris Avramopoulos, è stato invece accostato allo scandalo, anche se mai indagato: il politico greco era infatti nel board scientifico di Fight Impunity, una delle due ong attenzionate dai magistrati di Bruxelles perché legata all’ex eurodeputato italiano, Antonio Panzeri, considerato la mente della presunta organizzazione criminale.

Così per Di Maio si sono spalancate le porte di Palazzo Berlaymont. Ma nella sua corsa alla poltrona europea, l’ex deputato ha dovuto scontrarsi anche con l’opposizione di alcuni partiti all’interno della Plenaria di Strasburgo. Fu il gruppo dei Verdi, alla fine del 2022, a presentare un’interrogazione rivolta al Consiglio dell’Unione europea e che ha raccolto l’adesione di parlamentari appartenenti a gruppi diversi: Verdi, Socialisti, Liberali e componenti del Gruppo Misto. Nel testo si chiedevano spiegazioni sui motivi dietro la proposta, affermando che l’ex ministro non ha i requisiti sufficienti per ricoprire un ruolo così delicato. Per i tirocini retribuiti – spiegano i parlamentari – si richiede che i candidati abbiano almeno una laurea triennale. Inoltre, il tirocinante “per poter seguire le riunioni e fornire prestazioni adeguate, deve avere la capacità di parlare nella lingua di lavoro della delegazione dell’Ue”. Di qui la domanda, chiaramente provocatoria: “Perché una persona come Di Maio, che avrebbe a malapena i titoli per uno stage, dovrebbe rappresentarci in un’area strategica come quella del Golfo?”. La risposta di Borrell è arrivata nella lettera del 21 aprile: “In qualità di ex ministro degli Esteri italiano, Di Maio ha il profilo politico necessario a livello internazionale per questo ruolo. I suoi ampi contatti con i Paesi del Golfo gli consentiranno di confrontarsi con gli attori interessati al livello appropriato”.

Nel frattempo da Bruxelles non confermano e non smentiscono la nomina: un portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna ha fatto sapere alle agenzie di stampa che sull’indicazione dell’inviato speciale per il Golfo non è stato annunciato nulla e la procedura riservata all’interno del Consiglio non si è ancora conclusa. E ancora. Per quanto riguarda i passaggi necessari alla ratifica finale della candidatura, un portavoce della Commissione europea ha spiegato che “i mandati dei rappresentanti speciali Ue sono definiti dal trattato” nella parte per la politica estera e di sicurezza, “che consente al Consiglio di votare a maggioranza qualificata“. In tal senso, “dopo le nomine dei candidati da parte degli Stati membri, e la necessaria selezione dei concorrenti più forti, l’Alto rappresentante Ue presenta una proposta” che “deve essere adottata formalmente” dai Ventisette. Quest’ultimo, quindi, è il passaggio che manca a Di Maio per iniziare la sua nuova avventura. Sarà solo una formalità?

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