In Italia, come in altri paesi europei, una quota consistente dell’opinione pubblica vorrebbe ritirare il sostegno militare all’Ucraina. Se questo avvenisse, non solo Putin avrebbe mano libera per la conquista e la “denazificazione”, ma sarebbe probabilmente incoraggiato a proseguire nella sua strategia di espansione militare in Moldavia, o altrove.

Le divisioni nell’opinione pubblica europea sono largamente fomentate da operazioni di propaganda attuate dalla Russia, che cerca di presentarsi come vittima anziché come carnefice dell’Ucraina. Tutte le nazioni hanno servizi di spionaggio e controspionaggio, ma la Russia di Putin ha spinto la guerra dell’informazione in direzioni nuove, in omaggio ad una analisi della guerra moderna dovuta al Gen. Valery Gerasimov apparsa sulla rivista Military-Industrial Kurier, numero del 27 February 2013 (qui tradotta in inglese). Secondo Gerasimov la guerra moderna include “azioni di conflitto basate sull’informazione… si ricorre all’uso aperto della forza soltanto ad un certo stadio, principalmente per raggiungere il successo finale nel conflitto”; e ancora: “lo spazio dell’informazione apre ampie ed asimmetriche possibilità per ridurre la capacità bellica del nemico”.

La principale istituzione russa dedicata alla guerra di informazione è l’Internet Research Agency (IRA), soprannominata la “fabbrica dei troll”, con sede a San Pietroburgo, finanziata da Yevgeny Prigozhin, e descritta, tra gli altri, dalla giornalista Lyudmila Savchuk. L’IRA svolge i suoi luridi compiti in due modi distinti: i suoi hacker possono attaccare e paralizzare i siti informatici pubblici di paesi ritenuti avversi, come accadde ad esempio in Estonia nel 2007; oppure i suoi troll possono partecipare a campagne di disinformazione utilizzando i social media e inserirsi nella vita politica e culturale della nazione avversa.

La strategia di propaganda informatica dei troll russi si appoggia su movimenti locali spontanei, come ad esempio QAnon, perché non è possibile creare nel paese avversario una opposizione antigovernativa dal nulla, ma è possibile sostenerne una pre-esistente e farla crescere da minoranza a maggioranza.

Sebbene la guerra dell’informazione sia svolta in modo che non sia facile riconoscerne l’autore, ci sono prove che la Russia di Putin ne ha fatto largo uso: ad esempio la campagna di delegittimazione di Hillary Clinton che nel 2016 portò alla Presidenza Trump, analizzata nel rapporto Mueller o il contributo di troll russi alla campagna in favore della Brexit in UK.

La guerra in Ucraina fu preceduta da attacchi informatici, oltre che sul campo, con provocazioni svolte da unità militari prive di insegne in Crimea e nel Donbas. Facevano parte della guerra di disinformazione le accuse di persecuzione e genocidio della minoranza russofona in Crimea o nel Donbas, sulle quali il tribunale internazionale dell’Onu si esprime così: art. 59 “… la Corte non possiede evidenze a sostegno dell’accusa mossa dalla Federazione Russa che un genocidio sia stato commesso in Ucraina”.

All’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina tutti i paesi europei hanno bloccato i siti noti di propaganda russa come Sputnik o Russia Today; più difficile però è bloccare i troll che infestano i social network dei diversi paesi. Non è necessario per Putin offrire un sostegno esplicito (e magari soldi) ai partiti che vuole sostenere (quelli che vorrebbero bloccare il sostegno all’Ucraina), perché un partito di minoranza può vedere un vantaggio in termini di voti e consenso allineandosi spontaneamente alla propaganda putiniana.

L’Italia non è, ovviamente, l’unico bersaglio della disinformacija russa; operazioni analoghe sono verosimilmente in atto in tutti i paesi europei. Però l’Italia è particolarmente permeabile a questo attacco per vari motivi: le sue maggioranze di governo sono tradizionalmente fragili, il supporto all’Ucraina è malvisto tanto a destra quanto dall’estrema sinistra, il paese vive un profondo antiamericanismo, e molti partiti politici sono considerati avvicinabili, sia nel governo (Lega e FI) che nell’opposizione (M5S).

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