Forse basterebbe tagliare corto e sottolineare che parlare di sostituzione etnica è una stupidaggine, perché i popoli si rafforzano socialmente, culturalmente e anche geneticamente con l’unione tra diverse genti. La razza pura non esiste, i legami tra consanguinei (in senso stretto, nella visione purista, chi non è della famiglia è un pericoloso estraneo che imbastardisce la stirpe) portano solo malanni e debolezza.

Lo diceva sempre la partigiana Lidia Menapace, dichiarando con il suo modo placido e inesorabile (lo disse anche in tv) che, certo, i gatti di razza sono molto belli, ma sono un po’ ritardati, fragili e poco longevi mentre quelli che definiamo bastardi perché non sono di razza ma frutto di molteplici incroci sono intelligenti e forti. E così vale per noi esseri umani, che per fortuna ci imbastardiamo, con la curiosità che ci spinge ad andare oltre i confini del consueto e del conosciuto.

In buona sostanza, se non fosse per le implicazioni pericolosamente razziste, la frase del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida secondo il quale non ci dovremmo arrendere “all’idea della sostituzione etnica” denota una noiosa e triste assenza di desiderio di conoscere e di scoprire, in contrasto, tra l’altro, con l’essenza profonda del suo dicastero: l’agricoltura è il territorio principale della biodiversità, non dell’uniformità.

Come ci insegna Vandana Shiva, scienziata ecofemminista e attivista critica del modello neoliberista, sono le monocolture a mettere in pericolo la biodiversità in agricoltura, perché è la varietà dei semi e delle coltivazioni a preservare la terra dal pericolo di carestia e di sterilità. Consiglio dunque a Lollobrigida la lettura del libro Monoculture della mente di Shiva, che di certo allargherà i suoi orizzonti vista la carica che ricopre.

Altrettanto noioso, almeno per me, il dibattito successivo all’infelice uscita del ministro, originato dalla vignetta pubblicata dal Fatto, che ritrae la caricatura della consorte di Lollobrigida, Arianna Meloni, sorella della premier, che chiacchiera a letto con un uomo di colore, rassicurandolo sul fatto che il marito è assente perché “sta tutto il giorno fuori a combattere la sostituzione etnica”.

Secondo il principio freudiano del motto di spirito, quello per intenderci che fa dire che un ricchissimo ospite ti ha trattato familionarmente, oppure, per descrivere l’obbligo di partecipare ad un evento, conia l’avverbio storpiato spintaneamente, la vignetta evidenzia un paradosso, quindi può far ridere. Il problema è che la situazione paradossale, invece di implicare direttamente il ministro e la stupidità della sua affermazione, mette al centro la moglie, che non c’entra nulla.

Insomma, poca creatività e una comicità noiosamente collaudata: l’effetto tormentone sul sesso ti fa andare sul sicuro, intriso come è di luoghi comuni misogini e sessisti. Si sa: per colpire una donna autorevole si mina la sua rispettabilità mettendone in dubbio la moralità sessuale. Parimenti, per colpire la virilità di un uomo (se non lo si può accusare di essere omosessuale), si colpisce la moralità della moglie, che è roba sua. Del resto il ministro, come ha fatto notare causticamente Natalia Aspesi, può tranquillamente parlare di sostituzione etnica perché tanto sono le donne, mica gli uomini come lui, che devono essere messe in batteria a figliare per rimpolpare le culle vuote di italiani doc e scongiurare la fantomatica sostituzione.

La satira, nonostante sempre più donne si cimentino con questa indispensabile forma di comunicazione e di critica, resta un feudo maschilista, perché la cultura maschilista è ben ancorata nell’immaginario (anche quello rivoluzionario), e si fatica a trovare modi alternativi non sessisti per mettere in ridicolo l’ignoranza di chi è al potere e lo usa male. Detto questo, e premesso che il patriarcato di sinistra, come lo chiamava Lidia Menapace ben conoscendolo, è vivo e vegeto, non c’è dubbio che a destra non si sia nemmeno cominciato a lavorare sulla misoginia.

Da faccetta nera bell’abissina di storica memoria passando per l’esibizione della bambola gonfiabile chiamata Boldrini in un comizio da Salvini, alla promessa di Berlusconi del pullman di prostitute ai calciatori se avessero vinto, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Nella certezza che il trinomio, serissimo e altisonante, Dio-patria-famiglia non preserva dalla cialtronaggine e dalla sguaiatezza goliardica tipica che la destra esprime quando, gratta gratta, viene fuori la sua voglia di totalitarismo.

Un amico giornalista e poeta, Stefano Bigazzi, ha postato su Facebook un aforisma buffo sulla frase di Lollobrigida: “Dopo la sostituzione etnica ci sarà quella vesuvica”. Ecco: fa ridere, non offende, e magari serve anche per ripassare la geografia. Fatelo sapere al ministro.

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