Da inizio aprile, ossia quando l’Opec+ ha deciso di tagliare la produzione di greggio di un milione di barili al giorno, il costo di un barile di petrolio è salito di quasi dieci dollari. Oggi un barile di brent, petrolio di riferimento per il mercato europeo, viene scambiato a 85,5 dollari. Per i paesi che non hanno deciso di bloccarne l’import c’è un’alternativa: il petrolio russo che, per effetto delle sanzioni occidentali, viene venduto con uno sconto fino a 30 dollari al barile e pertanto è sempre più richiesto da paesi come Cina, India, Turchia, Brasile, etc. E non solo, visto che anche i paesi del Golfo ne hanno aumentato fortemente gli acquisti. Lo usano per i loro fabbisogni interni mentre tutto quello che producono, non soggetto a sanzioni, lo vendono all’estero ai più vantaggiosi prezzi di mercato. Sul petrolio di Mosca i paesi del G7 hanno fissato un price cap di 60 dollari al barile, per cercare di limitare i ricavi del Cremlino e quindi ridurre la sua capacità di finanziare il conflitto in Ucraina. Diversi osservatori hanno giudicato questa soglia inappropriata per lo scopo che si prefigge, tale anzi da permettere a Mosca di pagare una “guerra senza fine”. Le ultime proiezioni del Fondo monetario internazionale che indicano una crescita del Pil russo dello 0,7% quest’anno e dell’1,3% nel 2024 sembrano ridimensionare l’effettiva ricaduta delle sanzioni.

Assicuratori e banche non possono assicurare i carichi se il prezzo di acquisto supera questa soglia e poiché il mercato è quasi monopolizzato da operatori occidentali, il divieto vale quasi erga omnes. Sinora, con il petrolio intorno ai 70 dollari e lo sconto su quello russo, il price cap non è stato testato in modo significativo. Ora però le cose stanno cambiando, seppur venduti a prezzi più bassi, i barili russi si stanno avvicinando alla soglia, in alcuni frangente l’hanno già superata. I ricavi del Cremlino iniziano a salire e alcuni esponenti dei paesi del G7 hanno auspicato una riduzione del tetto. Secondo quanto scrive l’agenzia Reuters, il G7 sarebbe però orientato a mantenere invariato il livello dei 60 dollari. Nel frattempo iniziano i primi distinguo. Il Giappone ha detto che comprerà petrolio russo anche pagando oltre il limite, Tokyo ha avuto il via libera degli Stati Uniti poiché il paese è fortemente dipendente dalle forniture di Mosca e diversificare è operazione più complessa che altrove. Ora anche l’India ha annunciato che non rispetterà il cap in caso di necessità. Il ministro delle Finanze Nirmale Sitharaman ha detto che rinunciare al greggio russo per fornitori più costosi, sarebbe economicamente insostenibile per il paese che importa circa l’80% del petrolio che utilizzano i suoi 1,4 miliardi di abitanti e che deve fronteggiare un’alta inflazione.

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