A pochi giorni dal varo di un Documento di economia e finanza all’insegna della “prudenza” e della riduzione del deficit, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo è arrivata una tegola che potrebbe stravolgere i piani del governo Meloni. Il ministero dell’Economia ha infatti dovuto, sulla base di una sentenza dei mesi scorsi, iniziare a risarcire i danni morali ad alcune imprese calabresi che vantano crediti nei confronti di Province, Comuni in dissesto, Aziende sanitarie locali e società controllate dagli stessi enti pubblici. Nei prossimi giorni il governo dovrà far sapere come intende procedere per la liquidazione dei crediti veri e propri, circa 3 milioni di euro. Ma gli esborsi potrebbero allargarsi a macchia d’olio. La Corte di Strasburgo, infatti, nei prossimi mesi dovrà pronunciarsi su altre decine di ricorsi partiti da Crotone e relativi a imprese con base in Calabria, Campania e Sicilia. La storia infinita dei debiti non pagati della pubblica amministrazione – di cui Matteo Renzi all’inizio del suo mandato a Palazzo Chigi aveva promesso lo “sblocco totale” – torna dunque a presentare il conto.

Se il governo non paga la documentazione passerà al vaglio del comitato dei ministri presso il Consiglio d’Europa, l’organismo internazionale che vigila sull’esecuzione delle decisioni della Corte. Difficile stimare l’impatto potenziale del pronunciamento, ma di sicuro la montagna dei debiti commerciali non pagati è ancora oggi imponente. Nell’ultima relazione annuale di Bankitalia si legge che “nel 2021 i debiti commerciali delle Amministrazioni pubbliche ammontavano a circa 53 miliardi”, come nel 2018. Se lo Stato centrale fosse chiamato a saldare le fatture non onorate dagli enti locali le ricadute sui conti pubblici potrebbero quindi essere. A poco vale sulla carta il governo, una volta che ha pagato, possa rivalersi sugli enti locali, che rischierebbero così il dissesto.

In teoria oggi tutte le pubbliche amministrazioni sono tenute a pagare le proprie fatture entro 30 giorni dalla data del ricevimento, con l’eccezione degli enti del servizio sanitario nazionale per i quali il termine massimo è di 60 giorni. Lo impone una direttiva europea che l’Italia per molti anni non ha rispettato: nel 2020 la Corte di Giustizia Ue ha condannato il Paese per i ritardi sulla base di dati aggiornati all’aprile 2017. Secondo la Ragioneria generale dello Stato “negli ultimi anni, anche grazie all’introduzione della fatturazione elettronica, obbligatoria per tutte le pubbliche amministrazioni dal 31 marzo 2015, il numero delle pubbliche amministrazioni che paga i fornitori con tempi medi più lunghi di quelli previsti dalla normativa vigente si è gradualmente e progressivamente ridotto”. Stando all’ultimo monitoraggio, relativo al primo semestre 2022, a fronte di 78 miliardi pagati per le fatture ricevute dagli enti in quel periodo oltre 60 sono stati saldati entro la scadenza, 16,2 miliardi entro 3 mesi, 1,2 entro 6 mesi. Ma resta il macigno del pregresso.

Secondo l’avvocato che ha proposto i ricorsi, Francesco Verri, “davanti a questo disastro rimedi giudiziari nazionali non ce ne sono. Ma c’è la possibilità di ricorrere alla Corte di Strasburgo, il cui potere è quello di condannare il Governo centrale a sostituirsi non solo agli enti inadempienti ma anche alle società controllate fallite. L’unico modo per le imprese e per i cittadini di recuperare i loro crediti è la giustizia internazionale. Questo perché il mancato pagamento da parte delle Amministrazioni locali e delle società partecipate viola i diritti umani così come altre gravi omissioni dello Stato in materia di libertà, giusto processo, diritto alla salute ed ambiente”.

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