di Ilaria Muggianu Scano

La scrittura è un atto meno solitario di quanto si creda, occorre vivere tanto per scrivere bene. Se lo è l’atto dello scrivere in sé, non lo è l’atto di mettere al mondo, letteralmente, un libro, perché non è solitario nessun atto comunicativo, non avrebbe alcun senso scrivere. E se scrivere è un’investitura che ti dà la realtà è giusto tu ti debba, in qualche modo, prendere cura della realtà che maneggi con maggiore padronanza. La variabile che rimane da esaminare è il tempo che decidi di narrare. Fatta salva la dimensione di completa libertà di un autore, che può scrivere di ciò che più gli si confà, rimane un’osservazione: scrivere di Sardegna non è un’operazione di segno neutro.

Al di là dell’oggettiva difficoltà legata alla necessità di svegliarsi a un’ora mannara per prendere un volo e arrivare già massacrati all’inizio di un evento divulgativo, ci sono altri scogli legati all’impegno intellettuale in Sardegna. Se nell’isola curi una rubrica di critica letteraria e ti passano in mano un certo numero di opere la settimana hai modo di analizzare diversi fenomeni, tutti degni di riflessione. Oltre all’apologia del dilettantismo, emerge da parte dell’autore l’approccio del cosiddetto to read the room, un’attenzione certosina a quelle che sono le aspettative del lettore e la volontà di attenervisi per compiacerlo. Il risultato è quello di avere la sensazione di leggere costantemente lo stesso libro. Si tende a raccontare l’inoffensività del passato, della memoria feroce resa innocua dal tempo, quindi finalmente raccontabile.

È gettonatissima la narrazione dell’aura arcana ed enigmatica della Sardegna con i relativi topoi di janas, cogas, magia, vendetta, accabadoras, sessualità repressa, modernità che fatica ad incistarsi nel tessuto comunitario, il tutto nella distanza prudenziale di un ‘800 indefinito. Secondo uno studio recente, il numero di scrittori sardi è cresciuto esponenzialmente tanto che calcolandone l’incidenza sulla densità demografica si ottiene un rapporto di uno scrittore ogni seimila abitanti. Questo è facilmente traducibile nel fatto che ogni paese sardo ha il proprio scrittore.

Il problema è che la Sardegna rischia di parlare una lingua muta perché continua a raccontare il passato. La realtà è un grande campo da dirozzare, ma si ha l’impressione che tantissima manodopera si concentri sullo stesso lembo di terra non più fertile. La vera sfida della scrittura sarebbe trovare parole che traducano il cambiamento di un’epoca in corso e lo sguardo sui fatti, dall’indicibile al detto. La scrittura dovrebbe preparare la sensibilità sociale al cambiamento. Preparare la disposizione collettiva a concepire il nuovo.

Sarebbe interessante applicare la rotazione delle colture alla cultura. A partire dal sussidiario della terza elementare è chiaro il vantaggio della pratica di piantare colture diverse in sequenza sullo stesso appezzamento di terreno per migliorare la salute del suolo, ottimizzare i nutrienti del terreno e combattere gli agenti dannosi come parassiti ed erbe infestanti. Perché dunque non applicare i principi della modernità alla letteratura? Perché continuare a professare la retorica del plusvalore di una narrazione per compensazione? Calare ogni racconto in un passato indefinibile purché sub specie sardiniae, indulgere sulla quinta marcia dell’auto esotismo, rischia davvero di ingenerare il paradosso buffo del servo sciocco.

Probabilmente bisogna semplicemente accettare il fatto che è un tempo in cui scrivere in Sardegna ha a che fare con un’epistemologia identitaria: conta più il tuo essere sardo di quello che scrivi. O per lo meno questo suggerire la logica aberrante di molte librerie: cerchi un autore sardo e non lo troverai disposto in ordine alfabetico sugli scaffali tematici ma sui ripiani ghetto. Posto che non sia un matricidio essere sardi e non scrivere di Sardegna, se ci si intesta il compito di realtà, sarebbe cosa buona e giusta passare almeno dallo stereotipo all’archetipo.

Il blog Sostenitore ospita i post scritti dai lettori che hanno deciso di contribuire alla crescita de ilfattoquotidiano.it, sottoscrivendo l’offerta Sostenitore e diventando così parte attiva della nostra community. Tra i post inviati, Peter Gomez e la redazione selezioneranno e pubblicheranno quelli più interessanti. Questo blog nasce da un’idea dei lettori, continuate a renderlo il vostro spazio. Diventare Sostenitore significa anche metterci la faccia, la firma o l’impegno: aderisci alle nostre campagne, pensate perché tu abbia un ruolo attivo! Se vuoi partecipare, al prezzo di “un cappuccino alla settimana” potrai anche seguire in diretta streaming la riunione di redazione del giovedì – mandandoci in tempo reale suggerimenti, notizie e idee – e accedere al Forum riservato dove discutere e interagire con la redazione. Scopri tutti i vantaggi!
Articolo Successivo

La solitudine, la condivisione dei sentimenti (e il ruolo della Resistenza) ne La banda felice, romanzo d’esordio di Carolina Crespi

next