di Roberto Iannuzzi *

Il conflitto ucraino non ha prodotto soltanto una nuova cortina di ferro fra Europa e Russia, ma ha anche messo in moto dinamiche inedite, e dalle conseguenze incerte, a livello continentale e nella stessa Unione Europea. Fra esse spicca il ruolo assertivo assunto dalla Polonia, non solo nel conflitto, ma più in generale negli equilibri europei.

Negli ultimi anni, i rapporti fra Varsavia e Bruxelles non sono stati buoni. In Europa il governo polacco è stato definito populista ed euroscettico, ed è stato accusato di aver indebolito l’indipendenza della magistratura e di aver sfidato il primato della legge europea su quella nazionale attraverso due sentenze della corte costituzionale polacca (la cosiddetta “Polexit giuridica”). Varsavia ha sempre risposto sostenendo che la priorità europea non è una maggiore integrazione a scapito degli stati nazionali, ma un allargamento dell’Ue e della Nato, entrambi intesi come blocchi volti a contenere la Russia. E’ quanto affermava nel 2020 la Strategia di Sicurezza Nazionaledel paese, documento che sottolineava la necessità di rafforzare il rapporto transatlantico e la cooperazione strategica con Washington.

Dall’ostilità nei confronti di Mosca derivava anche l’opposizione polacca all’idea francese di un’Europa da Lisbona a Vladivostok, e ai sempre più stretti legami energetici fra Germania e Russia attraverso progetti come il gasdotto Nord Stream 2. Secondo Varsavia, l’invasione russa dell’Ucraina ha confermato la correttezza delle tesi polacche, conferendo alla Polonia una “superiorità morale” che l’autorizza a giocare un ruolo di maggior rilievo all’interno dell’Unione.

Il governo polacco ha accolto milioni di profughi ucraini e ha fornito centinaia di carri armati e di altri sistemi d’arma (tra cui alcuni caccia MiG-29) a Kiev. Il paese è divenuto la retrovia del conflitto attraverso cui passano gli aiuti militari occidentali all’Ucraina, e dove si organizza il supporto logistico e la pianificazione strategica. Le sue basi ospitano 10.000 soldati americani. E si rincorrono tuttora le voci su un possibile intervento polacco nel conflitto qualora l’esercito ucraino dovesse trovarsi a mal partito. Varsavia nutre proprie aspirazioni militari, puntando a costituire l’esercito più forte dell’Europa continentale entro il 2035, con 300.000 effettivi. Rifiutando una maggiore integrazione con l’industria bellica europea, la Polonia ha investito miliardi di euro in armamenti americani e sudcoreani.

Particolarmente difficile è il rapporto con la Germania, da cui Varsavia tuttora ambisce a ricevere riparazioni di guerra, stimate in 1,32 trilioni di euro, per l’occupazione tedesca dal 1939 al 1945. Il governo polacco ha più volte rimproverato Berlino per la sua “riluttanza” ad imporre sanzioni più dure a Mosca e ad inviare più armi a Kiev.
La Polonia da tempo aspira a creare un contrappeso all’asse franco-tedesco all’interno dell’Ue facendo leva sul proprio ruolo nell’Europa centrale e orientale, attraverso organismi e raggruppamenti regionali. Tra essi figurano i nove di Bucarest (B9), gruppo fondato nel 2015 che punta (con la benedizione di Washington) a rafforzare la cooperazione militare fra i nove paesi ex-comunisti del fianco orientale della Nato.

Vi è poi la “Three Seas Initiative”, che riunisce i dodici paesi Ue compresi fra il Baltico, l’Adriatico e il Mar Nero con finalità di cooperazione e sviluppo infrastrutturale. Ma il raggruppamento più interessante per Varsavia è il cosiddetto Triangolo di Lublino, creato nel 2020 con Lituania ed Ucraina richiamando nostalgicamente la Confederazione polacco-lituana, uno fra i più popolosi regni d’Europa tra il XVI e il XVII secolo, che comprendeva ampie parti delle odierne Bielorussia e Ucraina. I componenti di questo gruppo sognano di ricostituire un’analoga entità federale e hanno anche stabilito rapporti con la leader dell’opposizione bielorussa Svetlana Tikhanovskaia. In questo quadro, Varsavia ambisce a creare una confederazione con l’Ucraina (o con quel che ne resterà alla fine del conflitto), sebbene su questo tema vi sia un acceso dibattito all’interno della Polonia stessa.

Le ambizioni di Varsavia sono confermate dai ripetuti e fraterni incontri fra il presidente polacco Duda e quello ucraino Zelensky, l’ultimo dei quali, due giorni fa, è stato però macchiato dalle dimissioni del ministro dell’agricoltura polacco per protesta contro l’invasione dei prodotti agricoli ucraini nel paese.

A differenza della Confederazione polacco-lituana di quattro secoli fa, che era uno stato multietnico, la moderna Polonia è uno stato etnicamente omogeneo che spesso ha vissuto momenti di tensione con l’altrettanto assertivo nazionalismo ucraino. In generale, Varsavia punta a costruire un asse con i paesi baltici e scandinavi che, favorito anche dal recente ingresso della Finlandia nella Nato, spinga verso nordest il baricentro dell’Alleanza e della stessa Ue.

Sebbene questa “nuova Europa” sia vista di buon occhio da Washington, che punta a creare un bastione anti-russo nell’Europa dell’Est, le ambizioni polacche rischiano di suscitare nuovi dissidi etnici e culturali in un’area in cui i nazionalismi sono spesso un fattore più decisivo della democrazia. E’ dunque legittimo chiedersi se l’eccessiva espansione della Nato, e della stessa Unione Europea, non abbiano finito per introdurre in questi due organismi dinamiche esogene e fattori di tensione che rischiano di avere ricadute pericolose anche per l’Europa occidentale.

* Autore del libro “Se Washington perde il controllo. Crisi dell’unipolarismo americano in Medio Oriente e nel mondo” (2017).
Twitter: @riannuzziGPC
https://robertoiannuzzi.substack.com/

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