Il 5 aprile 1923 esce il primo numero del quotidiano Il Popolo, che dal 1924 diventa organo del Partito popolare. La ragione della sua comparsa si deve al segretario del partito, don Luigi Sturzo, che fonda il giornale in risposta all’accodamento filo fascista di molta stampa cattolica. A dirigere Il Popolo è chiamato il 34enne Giuseppe Donati, un cattolico antifascista da sempre ostile ai cattolici conservatori, al punto che nel 1919 aveva fondato un effimero partito cattolico (Partito democratico cristiano) in polemica con gli elementi più tradizionalisti del Ppi.

Sono giorni agitati per il Partito popolare. Una settimana dopo la fondazione del giornale, il 12 aprile, si apre a Torino il congresso dei popolari che, a maggioranza, sceglie una linea antifascista presentando le dimissioni dei suoi componenti dal governo di Benito Mussolini, in carica dal 31 ottobre 1922. Il gruppo minoritario guidato dal giornalista Egilberto Martire si stacca e fonda il Partito nazionale popolare approvando il programma del governo fascista.

Le testate di opposizione, per quanto non esplicitamente vietate dalla legge, sono ormai ridotte al silenzio. In una drammatica lettera di Giuseppe Donati al più potente collega Luigi Albertini, direttore e comproprietario del Corriere della Sera, si legge: “Non posso muovermi perché sorvegliato e minacciato personalmente”. Sono passati appena due mesi dalla fondazione e il giornale rischia di chiudere: le minacce del governo portano i finanziatori a ritrarsi, gli operai della tipografia sono sull’orlo del licenziamento, persino la carta diventa merce rara. L’atto che Donati vive come una mortificazione è la richiesta, che si trova costretto di formulare al collega, di centocinquantamila lire (poco più di 147.000 euro) per non chiudere perché “sono in gioco interessi supremi che ho il dovere di sostenere a costo di qualunque sofferenza ed umiliazione”. Il Vaticano non sorregge il quotidiano ritenendo don Sturzo un prete troppo a sinistra e guarda con più interesse a conciliare il cattolicesimo con il fascismo. È un ulteriore ostacolo per Il Popolo che riesce a resistere alla crisi di impianto e a proseguire con le pubblicazioni.

L’antifascismo che emerge dal giornale è concepito come frutto morale che discende dal cattolicesimo, in questo rispecchia la visione religiosa del suo direttore, tratteggiata da venature gianseniste. È l’ispirazione di fondo di un giornale laico, aperto ai contributi dei non affiliati, intriso di una modernità teorica vicina nell’approccio a Rivoluzione liberale di Piero Gobetti, ma è soprattutto il frutto dello spirito “indipendente e personale” dal partito che anima il direttore Donati.

Numerosi sono gli articoli, anche di impianto giuridico, contro la liberticida legge elettorale di Giacomo Acerbo – approvata nel giugno del 1923 – il cui meccanismo premiante polverizza le opposizioni lasciando loro solo un terzo della rappresentanza. La tornata elettorale dell’aprile 1924 è segnata da brogli e soprusi denunciati in Parlamento dal socialista Giacomo Matteotti, poi assassinato dai vertici del fascismo in risposta a quell’atto di coraggio.

La reazione de Il Popolo non si fa attendere, aprendosi a uno stile di giornalismo civile e investigativo. Oltre a indagare sull’omicidio Matteotti, Il Popolo affronta anche l’assassinio del parroco di Argenta Don Luigi Minzoni chiamando in causa la responsabilità del ras ferrarese Italo Balbo, del quale Il Popolo pubblica lettere compromettenti. Lo sconcerto è tale da spingere lo stesso Balbo a dimettersi da generale della Milizia.

In una fase nella quale l’attività dei partiti è ormai clandestina, Giuseppe Donati si pone l’obiettivo di far cadere il fascismo utilizzando il suo giornale per aprire una lotta sul piano giudiziario, ma ormai il fascismo ha pervaso ogni sfera dello Stato. L’occasione della sentenza di assoluzione per il direttore generale della Pubblica sicurezza Emilio De Bono, in relazione all’omicidio di Giacomo Matteotti, porta il ministro dell’Interno Luigi Federzoni a dichiarare a un deputato popolare che Balbo sta organizzando, per ritorsione, l’uccisione di Giuseppe Donati, il quale è costretto a espatriare il 12 giugno 1925.

Il Popolo termina le sue pubblicazioni dopo due anni e mezzo il 5 novembre 1925 per riprendere le sue pubblicazioni in clandestinità, nel 1943, divenendo l’organo della Democrazia cristiana.

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