“Il soccorso svolto da un organizzazione dello Stato professionale come la nostra è un’attività che, seppur in emergenza, richiede disciplina ed organizzazione, non estemporaneità o improvvisazione. Per questo la Guardia Costiera ha sempre operato e opera su una base giuridica certa e stabile”, così il comandante generale della Guardia costiera, l’ammiraglio Nicola Carlone, in audizione alla commissione Trasporti della Camera. “C’è la responsabilità penale diretta e personale dei nostri operatori, siano essi in mare o nelle centrali operative – ha aggiunto – Non vi sono ordini, disposizioni o suggerimenti che, da qualunque parte vengano, possano farci derogare da questo modello”.

L’ammiraglio ha anche parlato della difficoltà degli altri Paesi vicini nell’effettuare i soccorsi e della necessità che quindi, spesso, la Guardia Costiera intervenga in un’area Sar non di propria competenza, nonostante l’area Sar italiana misuri 500mila chilometri quadrati. “L’assenza o inadeguatezza” degli apparati di soccorso degli altri Paesi frontisti fa sì che, “in ossequio alla Convenzione di Amburgo, quando noi veniamo a conoscenza di unità” bisognose di soccorso, “anche se queste si trovano fuori dalla acque di responsabilità italiana, c’è l’obbligo di intraprendere le azioni necessarie e continuare a coordinare i soccorsi”. Questa, ha spiegato, “e ormai una prassi frequente“. “Le nostre unità sono sempre più impegnate nell’operare a distanze elevatissime dall’Italia e questo sta determinando un logorio del nostro strumento aeronavale: servono interventi urgenti di adeguamento”, ha concluso.

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