Pochi dinari per acquistare l’essenza di gelsomino rinchiusa in una boccetta di vetro. Quello stesso gelsomino che più di 10 anni fa dava il nome ad una rivoluzione divenuta pagina cruciale della storia nordafricana del nuovo secolo. Un fiore profumato che si mischiò all’odore acre del sangue dei rivoltosi scesi in piazza al grido di Libertà per deporre l’ex dittatore Ben Alì.

La Rivoluzione vide protagonisti molti studenti universitari e liceali che grazie ai social si mesero in rete per raggrupparsi nelle piazze del centro di Tunisi tra Avenue Bourguiba e Place de l’Indépendance. “Je proteste, donc j’existe!” (Io protesto, dunque io esisto!). A cosa è servita la cacciata del dittatore Ben Ali? Da paese culla delle ‘primavere arabe’ ai tanti governi fallimentari, per non parlare del disastro economico e della disperazione giovanile. L’entusiasmo dei tunisini si è affievolito dopo il golpe del presidente Saïed, che ora concentra tutto il potere nelle sue mani.

Soprattutto sul piano economico, la crisi ha continuato ad aggravarsi. La carenza di beni di prima necessità si è moltiplicata e l’inflazione ha superato il 10%. Quest’ultima unita al conflitto in Ucraina ha fatto aumentare il prezzo del petrolio e dei cereali, da cui la Tunisia è molto dipendente. A tutto ciò si aggiunge una crisi idrica senza precedenti, in particolare l’acqua potabile è stata tagliata in zone turistiche famose. Per via della grave crisi le imprese del settore privato saranno ora chiamate a rimpinguare le casse dello Stato: le aliquote saranno unificate al rialzo con la scomparsa dell’aliquota del 10% a favore di quelle al 15% e al 35%. Verrà inoltre creata un’imposta sulla ricchezza immobiliare, l’Iva per alcune libere professioni sarà aumentata dal 13 al 19%. La colossale spesa dello Stato, invece, non calerà.

Dopo aver raggiunto un accordo preliminare con l’istituzione finanziaria per garantire un prestito di 1,9 miliardi di dollari, il governo di Kaïs Saïed punta molto su queste misure di austerità che il FMI ha presentato come prerequisito per concludere l’accordo. Tutto ciò mentre è in atto un movimento di protesta organizzato dal sindacato, noto con l’acronimo francese Ugtt (l’Union Générale des Travailleurs Tunisiens). Il 4 marzo scorso l’Ugtt ha mobilitato il maggior numero di persone contro il presidente tunisino Kaïs Saïed da quando è entrato in carica, con proteste altrettanto forti organizzate da una coalizione di partiti politici, il Fronte di Salvezza Nazionale.

Difficile che Saied possa dimettersi volontariamente di fronte alla forte opposizione. Questo scenario è altamente improbabile in questo frangente. In altri casi di leader autoritari che si sono dimessi sotto la pressione popolare, come Mubarak in Egitto o Abdelaziz Bouteflika in Algeria, importanti parti interessate, sul cui sostegno questi dittatori facevano affidamento, hanno influenzato le loro decisioni. Al contrario Saied è apparso sempre più isolato e per nulla influenzabile.

Supponendo che agisca in modo coerente con il suo comportamento precedente, continuerà solo a deviare la colpa, come dichiarato da Karim Mezran, direttore del North Africa Initiative presso il Consiglio Atlantico.

A livello internazionale, raramente la Tunisia è apparsa più isolata di oggi, con gli aiuti occidentali alquanto ridotti, nessun segno di sostegno del Golfo e vari litigi con il principale alleato e vicino Algeria. Nel frattempo parti dell’opposizione a lungo fratturata stanno iniziando a parlare di modi per mettere da parte le loro vecchie inimicizie per coordinare l’azione contro Saied, con quest’ultimo che usa le autorità dei tribunali militari per processare casi politici dopo la presa dei poteri nel 2021.

In un Maghreb sempre più compromesso con effetti e conseguenze disastrose soprattutto per Libia e Tunisia, si temono forti crisi alimentari e maggiori fughe verso l’Italia, porta dell’Unione Europea. Proprio l’Italia che secondo l’Osservatore Economico Tunisino nel frattempo è diventata il primo partner commerciale della Tunisia in termini di volume nel 2022. Il governo Meloni, che teme il fallimento dello stato tunisino, potrebbe fornire un finanziamento da 110 milioni di euro alle piccole e medie imprese tunisine attraverso l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo. Dalla rivoluzione dei gelsomini ad una rivolta per il pane il passo è ormai assai breve!

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