Il governo Meloni ha annunciato la sua riforma fiscale proponendocela come uno strumento fondamentale per lo sviluppo dell’economia. Anche per questo governo vale, quindi, la teoria keynesiana della spesa pubblica che attraverso il fisco può sostenere l’economia nei momenti di crisi. Il fisco anche per la Meloni rientra quindi nella famosa “teoria delle leve” di Archimede anche se la leva in questione è quella tributaria usata per ri-sollevare il mondo certo ma solo quello dell’economia. Ma si può sollevare con il fisco l’economia sacrificando i diritti, la Costituzione, la sanità pubblica?

In sanità il fisco è stato usato soprattutto dal Pd neoliberista a partire dagli anni 90 per sviluppare il privato a danno del pubblico. Esso oggi è alla base delle più grandi contraddizioni che contrappongono la sanità privata e la sanità pubblica. Grazie al fisco la spesa sanitaria privata ha continuato a gonfiarsi ma a spese del bilancio pubblico. Seppur in maniera indiretta gli sgravi fiscali in sanità hanno svolto, quindi, una funzione di finanziamento del privato. Ricordo che questo governo alla sanità pubblica ha imposto i tagli lineari ma al privato ha conservato fino all’ultimo tutti gli sgravi fiscali.

Se oggi in molte regioni la spesa pubblica è diventata sostanzialmente minoritaria, ciò è dovuto principalmente alla crescita della sanità privata garantita da generosi sgravi fiscali. Fin dagli anni 90 è l’uso del fisco a favore della sanità privata che mise in moto un cambio nella natura pubblica del sistema sanitario. Ma il problema vero non è solo economico cioè la questione della spesa, ma è politico perché – come ha ben spiegato Chiara Cordelli nel suo libro “Privatocrazia” (Mondadori 2022) – quando lo Stato si privatizza cambia la sua natura pubblica sacrificando la sua funzione di garante.

Gli sgravi fiscali a favore del privato non sottraggono solo risorse alla sanità pubblica ma attraverso quello che gli economisti definiscono “effetto di sostituzione” modificano il sistema pubblico quindi la funzione dello Stato mettendo in crisi i più elementari principi costituzionali. Mettendo in crisi perfino la Costituzione. Come ho detto in Sanità pubblica addio, a partire dagli anni 90 il diritto alla sanità è stato degradato da diritto fondamentale a diritto potestativo. Per mezzo del fisco in Italia da anni si sta contro-riformando il SSN, quindi, i principi di uguaglianza di solidarietà che dovrebbero essere alla base del nostro sistema sanitario ma anche alla base di ogni ordinamento fiscale. Il fisco usato per la grande marchetta non è stato mai amico dei diritti ma è stato soprattutto amico degli interessi privati (gli amici degli amici).

Su questo giornale, ho sostenuto la possibilità di rifinanziare in modo straordinario la sanità pubblica attraverso una riforma del rapporto pubblico/privato, prendendo i soldi che ci servono dalla riduzione degli sgravi fiscali alla sanità privata. E’ del tutto evidente che la mia proposta ha senso se il governo Meloni – cogliendo l’occasione della riforma fiscale – decide di mettere le mani negli sgravi fiscali. Ma toccherebbe prima di tutto all’opposizione porre con grande forza il problema degli effetti distorsivi degli sgravi fiscali sulla sanità pubblica e sul diritto fondamentale alla salute.

Il fisco, anche se per aiutare l’economia, non può andare contro la Costituzione. Esso non può negare i diritti delle persone. Il fisco non può negare i suoi principi regolatori, vale a dire il principio di uguaglianza e quello di solidarietà. Oggi se vogliamo convincere il governo a rispettare i diritti l’opposizione deve decidere prima la sua battaglia: o rompe con la privatocrazia e quindi si batte contro il governo per rifinanziare i diritti o accetta che il governo, a suon di sgravi fiscali, rifinanzi la “grande marchetta” pur sapendo di fare la festa alla sanità pubblica.

Oggi la questione fisco e sanità, fisco e diritti è cruciale. Non credo che oggi in questa società di “esigenti” dove l’attesa di vita passa per il diritto alla salute e quindi per la qualità delle cure passerebbe impunita socialmente una discriminazione fiscale che fa campare di più i ricchi e di meno i poveracci.

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