La riforma della giustizia che il governo Netanyahu vuole approvare scuote Israele, dove da ore sono in corso proteste e scioperi, con oltre 700mila persone in piazza e atenei e aeroporti chiusi. Gli alleati del premier minacciano di fare cadere l’esecutivo – il più a destra della storia del Paese – nel caso in cui si decida di fare un passo indietro e di ritirare il pacchetto di norme. Una parte, peraltro, è già stata approvata (con una votazione ed è quella che prevede la rimozione del premier soltanto nel caso di impedimento fisico e mentale, salvando quindi Netanyahu dai suoi guai giudiziari, visto che è accusato corruzione e il processo è in corso a Gerusalemme. Tra i punti più contestati della riforma la questione chiave del Comitato di nomina dei giudici della Corte Suprema, massimo organismo di giustizia che per il premier si pronuncia sempre più spesso in ambiti che non sono di sua competenza. L’obiettivo di Netanyahu è di portare a 11 i membri del Comitato (invece dei 9 di oggi) assicurando la prevalenza dei componenti di nomina politica sui tecnici. Nei giorni scorsi Likud, partito del premier e partito più numeroso in Parlamento, ha cercato di convincere gli scettici, spiegando che l’obiettivo del provvedimento è di rendere “più eterogenea la Corte Suprema, non di controllarla”, mentre Netanyahu ha sponsorizzato la norma ricordando che negli Stati Uniti i politici controllano quali giudici federali vengono nominati e approvati. Un altro elemento significativo consiste in quella che viene chiamata “clausola di annullamento”, secondo cui leggi bocciate dalla Corte suprema possono comunque tornare in Parlamento ed essere approvate. Un aspetto che preoccupa particolarmente palestinesi e minoranze: potrebbero infatti anche essere impugnate le sentenze che bloccavano “gli sfratti delle famiglie palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est, dove gruppi ebraici hanno rivendicato la proprietà della terra su cui le famiglie hanno vissuto per decenni”, ricorda Cnn. Allo stesso tempo, la Corte Suprema è stata anche più volte attaccata dall’estrema destra, che l’ha accusata di agire in modo pregiudiziale nei confronti dei coloni e ha aspramente criticato la sua decisione dello “sgombero dei coloni da Gaza e dalla Cisgiordania settentrionale nel 2005″.

Ma chi sono gli alleati di governo che minacciano di fare cadere l’esecutivo nel caso in cui Netanyahu decida di fare fallire la riforma della giustizia? Al centro ci sono gli ultra nazionalisti di Jewish Power ‘Otzma Yehudit’ e Religious Sionism, che costituiscono il terzo blocco più numeroso del Parlamento dopo quello di Likud e degli ebrei ultra ortodossi di Shas. Bezalel Smotrich, discusso leader della destra radicale di ‘Sionismo religioso’, è il ministro delle Finanze e al suo partito sono anche andati due portafogli che comportano dossier molto sensibili: tra questi, il controllo sugli insediamenti ebraici in Cisgiordania e sul Cogat (l’ente di governo che sovrintende i Territori Palestinesi). ‘Sionismo religioso’ ha sempre sostenuto l’annessione dell’intera Cisgiordania. Pochi giorni da Smotrich è tornato ad attaccare il popolo palestinese arrivando a negarne l’esistenza: “Non si può parlare di ‘palestinesi’ perché non esiste un ‘popolo palestinese’ – ha affermato – È un’invenzione del secolo scorso in funzione antisionista”. E mesi fa avevano suscitato molto scalpore le parole attribuite al ministro che, durante una conversazione privata con un uomo d’affari, si era definito “un fascista omofobo“, aggiungendo: “Ma sono un uomo di parola…non lapiderò i gay”. Nella registrazione si sente Smotrich spiegare che i suoi sostenitori sanno che è contro il movimento Lgbtq “ma non gli importa”. “Sono l’unico – ha poi aggiunto riferendosi sempre ai suoi elettori – a non aver cooperato con la Lista Araba Unita e a preservare la Terra di Israele per i loro nipoti. Mi copriranno le spalle”.

Leader invece di Jewish Power è Itamar Ben-Gvir, favorevole all’immunità legale ai soldati israeliani che sparano ai palestinesi. Nella sua casa – nel famigerato insediamento di Kiryat Arba, dove insegnano i rabbini più estremisti e xenofobi – ha appeso nel suo studio un ritratto di Baruch Goldstein, l’estremista ebreo che nel 1994 ha ucciso 29 palestinesi nella Tomba dei Patriarchi a Hebron, lo considera un eroe pari quasi all’assassino di Yitzhak Rabin. Fortemente contrastato dal centro sinistra e dai partiti arabi, Ben Gvir è oggi ministro per la Sicurezza Nazionale. Colono nella Cisgiordania occupata da Israele, fin dall’adolescenza si è avvicinato al movimento sionista estremista Kach, diventando coordinatore della sua ala giovanile. Con la sua retorica carica di razzismo e suprematismo sionista, è riuscito a guadagnarsi un forte seguito, soprattutto tra i giovani coloni della Cisgiordania (leggi il profilo completo). A inizio gennaio la passeggiata di Ben Gvir sulla spianata delle Moschee, scortato da decine di agenti e da un rabbino ortodosso, ha suscitato una valanga di critiche contro Israele, e non solo da parte del mondo arabo.

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In Israele la situazione sta precipitando e anche il destino di Netanyahu appare segnato

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