Prima la provocatoria visita alla Spianata delle Moschee a Gerusalemme, poi l’ordine di rimuovere le bandiere palestinesi, definite addirittura “simbolo del terrorismo”. Così il ministro per la Sicurezza Nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha inaugurato i primi dieci giorni del nuovo governo di Benjamin Netanyahu, insediatosi lo scorso 29 dicembre e definito da analisti e media come “l’esecutivo più a destra della storia d’Israele”. Già prima dell’insediamento del terzo governo Netanyahu, Bibi aveva spiegato in un tweet le linee fondamentali della nuova coalizione, parlando di “diritto esclusivo e insindacabile del popolo ebraico su tutte le aree della Terra d’Israele”. Ma nessuno (forse nemmeno lo stesso Netanyahu) si aspettava un atteggiamento così radicale e quasi fuori controllo del nuovo ministro.

Ben-Gvir, avvocato e politico di estrema destra, leader del partito Otzma Yehudit (considerato il successore ideologico del partito sionista Kach, sciolto dal governo israeliano nel 1994 perché considerato un gruppo terroristico) è infatti il protagonista per eccellenza del nuovo panorama politico israeliano. Colono nella Cisgiordania occupata da Israele, Ben-Gvir è nato nel 1976 da immigrati ebrei iracheni e fin dall’adolescenza si è avvicinato al movimento sionista estremista Kach, diventando coordinatore della sua ala giovanile. È poi noto anche per avere un ritratto nel suo soggiorno del terrorista statunitense-israeliano Baruch Goldstein che ha ucciso 29 fedeli musulmani palestinesi e ne ha feriti altri 125 a Hebron nel 1994, fatto rimasto alla storia come massacro della Tomba dei Patriarchi, ma anche per aver minacciato, nel 1995, l’allora primo ministro israeliano Yitzhak Rabin dopo che quest’ultimo aveva firmato gli Accordi di Oslo con la Palestina. In quell’occasione si appropriò di un ornamento della macchina dell’ex premier dichiarando: “Siamo arrivati alla sua auto, arriveremo anche a lui”. Rabin fu assassinato da un estremista due settimane dopo.

Nel 2007 è stato condannato poi per aver sostenuto un’organizzazione terroristica e per incitamento al razzismo contro gli arabi. Da allora è stato coinvolto in vari incidenti violenti, incluso quello del 2022, quando ha puntato una pistola contro i residenti del quartiere palestinese di Sheikh Jarrah nella Gerusalemme est occupata. Ben-Gvir non ha poi fatto mistero della sua volontà di deportare i palestinesi dalle loro terre, spiegando che tale misura debba applicarsi anche ai politici ritenuti “non leali” nei confronti di Israele, un riferimento ai membri della Knesset che rappresentano i cittadini palestinesi di Israele e ai parlamentari israeliani di sinistra. “Quando formeremo il governo, promuoverò la legge sulla deportazione che espellerà chiunque agisca contro lo Stato di Israele o contro i soldati dell’Idf (forze di difesa israeliane, ndr)”, aveva infatti dichiarato Ben-Gvir in un’intervista al quotidiano The Times of Israel lo scorso agosto.

Nonostante sia stato considerato, fino a qualche anno fa, come una figura marginale della politica israeliana, Ben-Gvir è quindi riuscito, con la sua retorica carica di razzismo e suprematismo sionista, a guadagnarsi un forte seguito, soprattutto tra i giovani coloni della Cisgiordania. Nelle elezioni dello scorso novembre, il leader di Otzma Yehudit è infatti riuscito a ottenere 14 seggi per il suo partito alla Knesset, facendosi strada nella coalizione di governo con Benjamin Netanyahu e arrivando di fatto a controllare l’intero apparato di sicurezza del Paese. L’ex ministro della difesa Benny Gantz aveva avvertito che Ben-Gvir avrebbe trasformato l’unità di polizia di frontiera in Cisgiordania in una milizia privata. Allo stesso modo l’ex commissario di polizia, Ron Alsheich, ha affermato che si sarebbe dimesso se fosse stato ancora in carica, definendo Ben-Gvir “un enorme pericolo per la sicurezza personale nello Stato di Israele”. Ma sono i palestinesi, sia in Israele (dove rappresentano circa un quinto della popolazione totale) che nei territori occupati, a temere maggiormente le politiche del nuovo governo.

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