di Isabella Pratesi*

Pericolosamente distratti da accadimenti che ci sembrano molto più interessanti e vicini rischiamo di non guardare con occhio critico ai numerosi segnali che, messi insieme, dimostrano quanto sapiens stia lavorando efficacemente alla propria fine. Tra le tante vicende vale la pena soffermarsi su quella relativa alla siccità che sta mettendo in ginocchio la produzione di soia in Argentina.

Insieme al dovuto rammarico per un paese tormentato dalla storia e dalle crisi vorrei provare – come direbbero gli americani – a collegare i puntini:

1. L’Argentina è – ma soprattutto era – un paese ricchissimo di natura caratterizzata dalla presenza della seconda più grande foresta del Sud America: il Gran Chaco, cuore poco conosciuto di una biodiversità unica al mondo. Questa enorme distesa di alberi centenari ha una straordinaria capacità di assorbire CO2 contribuendo a ridurre l’effetto serra che sta mandando in tilt il nostro Pianeta;

2. L’Argentina è uno dei fronti più accesi e accaniti della deforestazione: le selvagge distese di alberi del Gran Chaco si stanno vaporizzano sotto la marea inarrestabile dell’agri-business. Negli ultimi venti – in particolare dall’arrivo della soia Ogm brevettata e commercializzata dalla Monsanto – l’Argentina ha perso quasi un quarto delle sue preziose e insostituibili foreste;

3. La produzione di soia in questo paese è cresciuta così velocemente da farne, dopo Brasile e Usa, il terzo produttore al mondo. Questo piccolo legume intensamente proteico viene utilizzato principalmente come foraggio dall’industria degli allevamenti intensivi;

4. Gli allevamenti intensivi sono responsabili del 14,5 % delle emissioni totali di gas serra di origine antropica contribuendo in maniera netta gli eventi climatici estremi, tra cui l’intensificarsi dei periodi di siccità;

5. La distruzione delle foreste contribuisce localmente all’inaridimento dei suoli e l’avanzare della desertificazione con impatti importanti sul regime delle piogge.

Ecco quindi che se colleghiamo tutti i puntini, a partire dalla soia per passare alla deforestazione, agli allevamenti intensivi e poi alla crisi climatica e alla siccità. Il cerchio si chiude e ne deduciamo che la coltivazione intensiva della soia in Argentina è da una parte una delle cause scatenanti della crisi climatica e dall’altra (e ce lo racconta la cronaca) un settore intensamente colpito dalla crisi stessa.

Quando capiremo che su questo piccolo grande mondo tutto è connesso e che la distruzione della biosfera e degli equilibri climatici ci ritorna contro come un boomerang lanciato contro le nostre stesse vite sarà probabilmente troppo tardi, ma la posta in gioco è talmente grande che non possiamo non tentare, individualmente, di fare qualcosa.

Consideriamo allora che ogni cittadino europeo consuma, attraverso i prodotti degli allevamenti intensivi (carne, uova, latte e latticini), circa 60 chili di soia all’anno. Quella soia pesa sulle nostre spalle come un pesante contributo alla distruzione delle foreste, alla crisi climatica e al futuro incerto dei nostri figli. Rinunciare ai prodotti degli allevamenti intensivi è un piccolo grande passo che tutti possiamo fare, a iniziare da oggi.

*direttore del Programma di Conservazione Wwf Italia

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