di Filippo Poletti*

Siamo tutti, purtroppo, parenti stretti o lontani della “permacrisi”. È la crisi permanente che, secondo il dizionario inglese Collins, ha caratterizzato il 2022. Di perturbazioni e motivi di preoccupazione ce sono tanti: pensiamo alla crisi economica, a quella del lavoro oppure alla guerra in Europa con l’Ucraina invasa dalla Russia. Se questa è la fotografia dell’anno passato, tutti noi possiamo essere la soluzione, la “permasoluzione”. La parola chiave, sotto questo aspetto, è “permainnovazione” o innovazione permanente: dobbiamo cambiare continuamente il nostro modo di progettare il mondo e di agire. Proviamo a focalizzarci sull’ambito lavorativo.

La prima riflessione da compiere è su cosa intendiamo per innovazione: che tipo di innovazione, in sostanza, vogliamo e dobbiamo portare avanti nel nostro ambito professionale? Dobbiamo essere portatori dell’innovazione di soluzione o di significato? Dobbiamo, cioè, farci interpreti del miglioramento di ciò che facciamo nel mondo del lavoro oppure individuare nuovi universi a partire dalla nostra capacità di immaginare evoluzioni possibili?

Come sempre, direbbero gli ingegneri, dipende dal contesto. In alcuni contesti è necessario essere “problem solver”, suggerendo e apportando delle migliorie al nostro modo di operare. In altri contesti, tuttavia, possiamo spingerci più in là, identificando nuove direzioni basate, ad esempio, sulla progettazione di servizi e prodotti radicalmente nuovi e di valore per una cerchia di persone e il resto della società.

La vita, come sempre, non è tagliata con l’accetta. Non serve tifare solo per l’innovazione di soluzione oppure per quella di direzione. Dobbiamo tenere il piede in due scarpe, vestendo alla bisogna i panni degli innovatori che migliorano incrementalmente oppure di quelli che cambiano radicalmente la realtà che ci circonda.

A prescindere dai panni che possiamo e dobbiamo vestire nelle diverse situazioni professionali, il metodo da adottare è il medesimo: valutare lo stato dell’arte attentamente, riflettendo criticamente sulla nostra realtà a partire dall’acquisizione di nuove competenze e grazie anche all’aiuto di validi sparring partner. Non è pensabile immaginare di osservare il mondo che ci circonda sempre con le stesse lenti. Ci servono nuove competenze, siano essere “dure” o “soffici”, da acquisire con la “permainnovazione” di cui parla il libro MBA Power: innovare alla ricerca del proprio purpose. Altrettanto importante è il confronto con i colleghi o i clienti, esterni alla nostra organizzazione.

Fotografata la realtà, occorre individuare l’innovazione da perseguire (sia essa di soluzione o di direzione), condividendola con il nostro gruppo di lavoro. È in questa fase – ed è questa la seconda riflessione da fare – che entra in gioco la nostra capacità di far comprendere ai nostri colleghi l’innovazione da realizzare: serve, per questo, fare ricorso alla capacità di essere visionari, raccontando l’innovazione immaginata attraverso l’adozione di metafore.

Nel bel libro dal titolo Metaphors we live by i filosofi americani George Lakoff e Mark Johnson raccontano come le metafore siano potenti in quanto aiutano ad abilitare l’innovazione, consentendoci di comunicare efficacemente agli altri nuovi significati. Prendiamo il caso di Nicolas Hayek, inventore negli anni Ottanta dell’orologio da polso Swatch: “Lo Swatch è come una cravatta, un accessorio di moda”, disse l’imprenditore. Senza l’uso di questa similitudine i consumatori forse non sarebbero mai stati in grado di apprezzare lo Swatch, premiandolo come l’orologio più venduto di sempre.

Come insegna Aristotele, le parole ordinarie raccontano ciò che sappiamo, mentre le metafore ci permettono di afferrare qualcosa di nuovo. E, allora, dunque, facciamone uso.

Alla fase della creazione e della condivisione delle idee innovative con l’ausilio anche di metafore deve seguire quella esplorativa per verificarne, in particolare, il valore nel più breve tempo possibile. È qui che entra in gioco il processo di realizzazione delle idee con la misurazione della loro efficacia e la valutazione del valore generato.

Tiriamo le fila: di fronte alla “permacrisi” non resta che imboccare la strada della “permainnovazione” anche sul lavoro. Possiamo innovare migliorando lo status quo oppure aprendo le porte a un nuovo universo. In entrambi i casi, tuttavia, serve continuare a formarsi. Chi si forma non si ferma. È la “permainnovazione” figlia della “permaformazione”.

* Autore di “MBA Power: innovare alla ricerca del proprio purpose”, è giornalista professionista. Top voice di LinkedIn Italia, scrive quotidianamente sui cambiamenti del mondo del lavoro.

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