Moda e Stile

Swatch Art Journey, i capolavori dell’arte dai musei al polso delle nuove generazioni: “Così le opere tornano ad avere rilevanza nella vita di tutti i giorni”

La collezione è stata presentata il 9 marzo a Lisbona ed è il frutto della collaborazione tra il brand svizzero e cinque dei più importanti musei internazionali - il MoMA di New York, il Louvre Abu Dhabi, il Museo e la Fondazione Magritte di Bruxelles, le Gallerie degli Uffizi di Firenze e un quinto che verrà rivelato a maggio

di Ilaria Mauri

L’arte che incontra l’arte. Un oggetto di per sé già iconico, dal design inconfondibile, che si unisce ad alcune delle opere d’arte più celebri al mondo divenendo così un accessorio potentemente simbolico. Perché in esso si incontrano i precisi meccanismi che misurano il tempo e l’atemporalità assoluta dell’arte. È questa l’essenza della nuova collezione Swatch Art Journey frutto della collaborazione tra il brand svizzero e cinque dei più importanti musei internazionali – il MoMA di New York, il Louvre Abu Dhabi, il Museo e la Fondazione Magritte di Bruxelles, le Gallerie degli Uffizi di Firenze e un quinto che verrà rivelato a maggio. Non un semplice merchandising con la trasposizione dell’immagine sull’orologio, quanto piuttosto un lavoro di rielaborazione e reinterpretazione del significato delle opere d’arte scelte che offre un differente punto di vista su questi capolavori. Nei pochi centimetri dei classici modelli Gent e New Gent è condensato tutto il significato intrinseco dell’opera, con il preciso obiettivo di aprire le porte di queste istituzioni della cultura e rendere l’arte sempre più democratica, sempre più alla portata di tutti, perché uno Swatch è un oggetto quotidiano, un compagno di vita. Con un’attenzione particolare ai giovani: “La sfida è proprio quella di concretizzare questa nostra volontà di fare vivere l’arte nei luoghi della gente e di avvicinarla ai ragazzi, incuriosendoli con questi focus sui dettagli. Invece di avere l’opera in una collezione privata, in un museo o in una galleria, l’opera può arrivare così di nuovo sulla strada, nella vita di tutti i giorni“, ci spiega Carlo Giordanetti, Ceo di Swatch Art Peace Hotel, uomo colto e manager capace, a margine dell’evento di lancio tenutosi il 9 marzo a Lisbona.

Il legame tra Swatch e il mondo dell’arte è storico e profondo e nel tempo si è consolidato al punto che l’arte è diventata parte integrante del suo Dna, un pilastro fondamentale che ha contribuito a rendere questi orologi degli oggetti cult da collezione, esposti nello stesso MoMA. “Abbiamo iniziato la nostra storia di collaborazione con il mondo dell’arte nel 1984 con Kiki Picasso, cioè un anno dopo la nascita del nostro brand – ci dice Alain Villard, Ceo di Swatch – Da allora abbiamo collaborato con diverse personalità quali Keith Haring, Damien Hirst, Vivienne Westwood, solo per citarne alcune. La successiva pietra miliare è stata quando abbiamo aperto nel 2011 lo Swatch Art Peace Hotel a Shangai, dando la possibilità ad artisti da tutto il mondo e di tutte le discipline artistiche di esporre per 6 mesi o più le loro opere, portandole poi alla Biennale di Venezia. Finora abbiamo avuto 460 artisti da 54 Paesi diversi. Nel 2018 abbiamo iniziato a collaborare con i musei, dando ai nostri clienti l’opportunità di indossare al polso un capolavoro: i primi ad aprirci le loro porte sono stati il Rijksmuseum di Amsterdam e il Thyssen-Bornemisza Museum di Madrid, seguiti dal Musée du Louvre a Parigi (2019), dal MoMa a New York (2021) e dal Centre Pompidou a Parigi (2022)”.

“Per questo in occasione del 40esimo anniversario di Swatch, ci sembrava carino forse prendere le cose da un punto di vista un po’ diverso – prosegue Giordanetti -. Siamo partiti dall’idea di scegliere degli artisti e delle opere d’arte che in qualche modo, ognuno in modo differente, rappresentino una delle facce di Swatch. Diciamo che è un racconto delle personalità del marchio attraverso delle espressioni artistiche”. Ed è per questo che troviamo Roy Lichtenstein e quindi la pop art, perché alla fine, se c’è una cosa che Swatch è, è proprio un marchio pop nel senso originario del termine, legato cioè al suo essere intergenerazionale e trasversale proprio com’era la pop art: “Nonostante abbiamo un’importante presenza a New York, non riusciamo sempre a raggiungere le persone”, ci dice Robin Sayetta, direttrice di Business Development del MoMA. “Tanto più occupandoci di arte moderna. Per questo vediamo in questo progetto anche un modo per coinvolgere le persone nel concept del museo, che non è solo un’esibizione di arte, ma anche un’istituzione vivente che rende l’arte più concreta e democratica. Crediamo davvero che le persone dovrebbero avere accesso a del grande design e Swatch è un grande esempio di design democratico, è un bel modo di portarsi un pezzo di MoMA con sé”, conclude.

Dopo di che c’è Magritte, uno dei massimi esponenti del Surrealismo, che in maniera molto leggera, assolutamente non intellettuale nel senso proprio del termine, riflette la voglia di giocare, di provocare, la voglia di prendere le cose sempre un po’ con quell’ironia e quel pizzico di humor tipici di Swatch. “In questa Art Collection abbiamo compiuto proprio lo stesso gesto di Magritte – riprende Giordanetti -, che prendeva degli oggetti quotidiani molto vicini alla conoscenza di chiunque e li trasformava, li metteva fuori contesto, per farne qualcosa di completamente nuovo. E lo stesso abbiamo fatto con l’iconica onda di Hokusai, che in questo orologio si innesta con l’immagine di un antico astrolabio per rafforzare il significato metaforico del mare e della navigazione. Tanto è vero che “Sotto il fiume di Kanagawa” è un’opera conosciutissima ma al tempo stesso in questa serie chiude in un certo senso il cerchio del pop: perché se la conosci già, allora la riconosci; ma se non la conosci, ti colpisce perché è comunque di design“, sottolinea ancora.

E arriviamo così a Firenze, con le due opere più rappresentative e ammirate delle Gallerie degli Uffizi: la Nascita di Venere e la Primavera di Sandro Botticelli. Due quadri che racchiudono l’idea di bellezza per antonomasia ma anche il senso del tempo. Gli orologi ispirati a queste opere sono, a nostro parere, i più potenti di tutta la collezione perché incarnano alla perfezione quel concetto di rielaborazione dell’immagine messo in pratica da Swatch che ne fa degli straordinari pezzi di design. “Non siamo più legati alla definizione di opera d’arte di un tempo, ora si può declinare in tante maniere, come anche un orologio”, chiosa Simone Rovida, responsabile dell’Area Strategie Digitali delle Gallerie degli Uffizi. “Questi orologi giocano sul dettaglio e questo scambio della parte per il tutto invoglia anche a vedere poi l’opera nella sua interezza nel museo. L’idea ora è che il museo viene da voi, non che voi se volete venite al museo”. Ecco quindi che nell’epoca in cui i musei si possono visitare ormai a distanza con i visori virtuali e in cui il digitale ci consente di analizzare anche ogni singola pennellata dell’artista, ecco che la trasposizione di questi capolavori su un orologio, per di più analogico, è un atto quasi rivoluzionario, capace di invertire il flusso e riportare i visitatori all’esperienza fisica nei musei.

“Effettivamente l’intero progetto Swatch Art Journey è nato sei anni fa, quando il Rijksmuseum di Amsterdam ci ha chiesto di collaborare: volevano che attraverso la rappresentazione su uno Swatch di alcuni dei loro quadri la gente avesse poi voglia di tornare a vedere le opere. Neanche a dirlo, fu un successo e si ritrovarono presto le code davanti all’ingresso”. Poi certo, in questi anni, Swatch ha affinato il suo approccio all’arte, arrivando a giocarci come nel caso dei due orologi dedicati a Magritte. Uno di questi è tratto dall’autoritratto del pittore “Figlio dell’uomo” del 1964, in cui la faccia del soggetto con la bombetta è oscurata da una mela verde sospesa: sul cinturino c’è scritto “Ceci est une Swatch avec une pomme”, ovvero “Questo è uno Swatch con una mela“, ironico riferimento all’Apple Watch. D’altra parte, il marchio svizzero è stato a suo tempo pioniere anche dell’orologeria digitale, senza mai snaturare però la sua natura analogica, anzi, riuscendo a ridarle centralità nella contemporaneità: “L’orologio è uno degli oggetti più utili che esistano. Ha una presenza discreta, raccoglie tutto quello che succede in qualche modo, si carica di tutte le energie, è molto legato alla prima volta che lo indossi – rileva Giordanetti -. È un oggetto molto simbolico. La vita te la ricordi anche così. È un segnatempo ma anche molto altro. È un oggetto anche molto intimo, la dice lunga sulla personalità di chi lo indossa e sul suo lato emotivo”. E se è vero che l’opera d’arte è di per sé suggellante di un momento, anche l’orologio rappresenta un punto di vista del periodo storico in cui in cui viene creato: “Sì, al tempo stesso è parte di un racconto e vive di una vita propria che gli è data dal movimento – analizza quindi Carlo Giordanetti -. E può superare esso stesso il limite del tempo perché noi possiamo mantenerlo in vita cambiandogli la batteria e continua a vivere. Ogni volta che apriamo un negozio in una città del mondo per prima cosa arriva gente da ovunque con dei vecchi Swatch da riparare, li ritirano fuori e ritornano a nuova vita”.

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