I prezzi dei beni alimentari salgono a tassi senza precedenti da 40 anni e gli italiani, con i salari in stallo, si difendono (anche) mangiando meno. È questo il messaggio che emerge dagli ultimi dati Istat sulle vendite al dettaglio a gennaio. Su base annua, gli acquisti al dettaglio sono aumentati del 6,2% in valore ma calati del 2,4% in volume. E se si guarda solo ai beni alimentari la divaricazione è ancora più evidente: rispetto al gennaio 2022 le vendite sono aumentate del 7,5% in valore ma crollate del 4,4% in volume. Indice di un potere di acquisto sceso a picco. Al netto degli sprechi che probabilmente sono stati ridotti, secondo l’Unione nazionale consumatori quel -4,4% è un numero da allarme rosso: “Gli italiani sono a dieta forzata. Urge ridare loro capacità di spesa”, commenta il presidente Massimiliano Dona. Secondo uno studio dell’associazione, rispetto a gennaio 2021 le vendite alimentari in volume sono calate ancora di più, -6,3%.

“Per affrontare il caro-prezzi le famiglie continuano a tagliare le spese primarie come gli alimentari”, conferma Furio Truzzi di Assoutenti. “Al netto dell’inflazione, la spesa alimentare degli italiani cala complessivamente per 6,4 miliardi di euro su base annua, con una riduzione media di -338 euro se si considera un nucleo con due figli. È una vergogna che gli italiani per arrivare a fine mese siano costretti a tagliare la spesa per il cibo. Riteniamo che il governo debba intervenire adottando misure specifiche per calmierare i listini al dettaglio e sostenere i consumi”. Anche perché il loro calo si sta già facendo sentire sul prodotto interno lordo: nel quarto trimestre 2022 i consumi sono scesi dell’1,1% sottraendo ai dati di contabilità nazionale quella che era stata una componente cruciale della forte crescita economica dell’anno. Il governo però è impegnato su tutt’altro, e in direzione opposta: sta preparando il provvedimento che cambierà nome al reddito di cittadinanza e ne taglierà gli importi, proprio mentre le difficoltà economiche delle famiglie aumentano.

Dalle tabelle Istat arriva anche la dimostrazione che per molti comparti economici, a partire dalla grande distribuzione, l’inflazione galoppante si è tradotta in un forte aumento del valore del venduto: +7,3% anno su anno per i supermercati, +8 per gli ipermercati, addirittura +10,1% per i discount a cui le famiglie si rivolgono per tentare di contenere le uscite. Mentre il cosiddetto “carrello della spesa” continua a rincarare senza mostrare alcuna frenata, impermeabile alla pesantissima stretta monetaria della Bce. I cui economisti di recente sono arrivati alla conclusione che l’incremento dei prezzi finali è stato per molti prodotti ben superiore a quello dei costi con il risultato che ricavi e profitti aziendali sono saliti oltre misura a scapito dei consumatori

Tornando ai dati italiani, il grafico con le variazioni tendenziali delle vendite in valore mostra fortissimi aumenti per quasi tutti i comparti con la sola eccezione dei prodotti farmaceutici (-1,4%). L’aumento maggiore riguarda la profumeria e cura della persona (+10,7%) seguita da abbigliamento (+9,4%) e mobili, articoli tessili e arredamento (+8,4%). Su del 7,7% anche le calzature e del 6,4% gli utensili per la casa.

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