I dossier che la Cina deve affrontare con le grandi potenze internazionali sono numerosi: da Taiwan all’Ucraina, fino agli equilibri nell’Indo-Pacifico e la guerra commerciale. Ma ce n’è uno sul quale non ha intenzione, almeno per il momento, di compiere passi indietro: la sua definitiva ascesa come potenza mondiale e la riorganizzazione dell’ordine globale secondo uno schema multipolare. Così torna a lanciare messaggi minacciosi a Washington attraverso il proprio ministro degli esteri, Qin Gang: se gli Usa non “frenano e continuano sulla strada sbagliata – ha detto -, ci saranno sicuramente conflitti e scontri. Chi ne sopporterà le catastrofiche conseguenze?”.

Quella di Qin Gang non è una figura qualsiasi nel panorama cinese. Soprattutto agli occhi degli americani. Fino a tre mesi fa era ambasciatore a Washington, l’anello di congiunzione tra la diplomazia asiatica e quella degli States. Oggi, però, le sue parole hanno ben poco di diplomatico e mostrano un atteggiamento della Repubblica Popolare tornato ad essere aggressivo. Questo a causa, spiega il titolare degli Esteri, della strategia di “contenimento e repressione” messa in atto da Washington nei confronti del gigante asiatico. Una politica che, però, “non renderà grande l’America e non fermerà il rinnovamento della Cina”.

Nella narrativa cinese, le azioni provocatorie della Repubblica Popolare vengono negate o, al massimo, ridimensionate. Come per quanto riguarda i palloni-spia abbattuti sui cieli statunitensi: per il ministro si è trattato di un “incidente inaspettato”, con gli Usa che “hanno agito con una presunzione di colpa, reagito in modo eccessivo, abusato della forza e drammatizzato l’incidente”. Questo atteggiamento, sostiene Qin Gang, fa parte della decisione della potenza americana di abbandonare un “percorso razionale” nei rapporti con Pechino. Ma con questo atteggiamento, sostiene, si va incontro a “conseguenze catastrofiche” per una “scommessa spericolata” nel modo di trattare i rapporti con il Dragone: “Se gli Stati Uniti non frenano, ma continuano ad accelerare lungo la strada sbagliata, nessun guardrail potrà impedire il deragliamento e ci saranno sicuramente conflitti e scontri”, ha detto accusando gli Usa di non volere la concorrenza perché “in realtà la cosiddetta competizione della parte statunitense è il contenimento e la repressione a tutto campo, un gioco a somma zero in cui tu muori e io vivo“.

Dal canto suo, la Cina sostiene che continuerà invece a seguire i principi del rispetto reciproco, della coesistenza pacifica, della cooperazione vantaggiosa per tutti e a perseguire relazioni solide e stabili con gli Stati Uniti: “Speriamo che il governo americano ascolti gli appelli dei due popoli, si sbarazzi della sua ansia strategica, abbandoni la mentalità della Guerra Fredda a somma zero e rifiuti di essere dirottato dall’approccio della correttezza politica”.

E uno dei punti da risolvere, dove le due potenze si sono più volte scontrate dal punto di vista diplomatico, anche con provocazioni militari da ambo le parti, è quello di Taiwan. L’isola ‘ribelle’, ha ribadito il ministro degli Esteri, rappresenta una linea rossa che Washington non deve assolutamente varcare, in nome del principio dell’Unica Cina sottoscritto anche dal governo Usa: “È il fulcro degli interessi centrali della Cina, il fondamento politico nelle relazioni Cina-Usa e la prima linea rossa che non deve essere superata – ha sottolineato il ministro – Continueremo a lavorare per la riunificazione pacifica, ma ci riserviamo il diritto di prendere tutte le misure necessarie. Nessuno dovrebbe mai sottovalutare la ferma determinazione, la forte volontà e la grande capacità del governo e del popolo cinesi di salvaguardare la sovranità nazionale e l’integrità territoriale“. La strategia su Taiwan fa parte di un piano più ampio di influenza americana nell’area dell’Indo-Pacifico. E secondo Pechino, l’obiettivo finale di Washington è quello di creare una “versione Asia-Pacifica della Nato”, formando un “piccolo cerchio” e promuovendo il “disaccoppiamento” in nome della libertà e dell’apertura, della sicurezza regionale e della prosperità.

La stella polare che deve guidare non solo i due Paesi sul dossier Taiwan, ma le relazioni Cina-Usa a 360 gradi è quello “di non alleanza, non confronto e non presa di mira di terze parti”. In poche parole, concorrenza che non deve mai tradursi in scontro. Concetto già espresso anche dal presidente Joe Biden nei mesi scorsi. Qin Gang ha osservato che se i due Paesi “lavorano insieme, il mondo avrà una forza trainante verso il multipolarismo e una maggiore democrazia nelle relazioni internazionali”, mentre “l’equilibrio strategico globale e la stabilità saranno meglio garantiti”. Una relazione che, proprio perché “non minaccia alcun Paese, non è soggetta ad alcuna interferenza o discordia seminata da terzi”. La soluzione, però, potrebbe non piacere a Washington, tutt’altro che aperta a permettere l’ascesa definitiva della Cina nell’olimpo delle grandi potenze mondiali, dove dalla caduta dell’Unione Sovietica si trovano, di fatto, solo gli Stati Uniti.

Il ministro conclude poi il suo intervento ribadendo che nel conflitto ucraino Pechino ha assunto un ruolo super partes. Posizione che le consentirebbe di diventare il grande mediatore di questa guerra, come ha già tentato di fare presentando i suoi ‘principi per la pace’ in 12 punti. La Cina, ha ribadito, “non ha fornito armi ad alcuna delle due parti del conflitto ucraino. La Cina non è l’artefice della crisi, né una parte direttamente interessata. Perché minacciare allora le sanzioni alla Cina? Non è assolutamente accettabile”, ha concluso accennando a “una mano invisibile” che sembra sostenere una crisi prolungata. “È una tragedia che poteva essere evitata. La Cina sceglie la pace sulla guerra, il dialogo sulle sanzioni e la de-escalation all’escalation”.

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