Cinema

Il patto del silenzio, il mondo crudele dei bambini ingabbiato in un claustrofobico cortile di scuola

Il film di Laura Wandel è cinema letteralmente di classe e di lotta, soprattutto per adulti. In sala grazie a Wanted dal 2 marzo

di Davide Turrini

Eravamo rimasti a quella storia della macchina da presa ad altezza bambino, no? Ecco, ne Il patto del silenzio – Playground (Un Monde, in originale belga) la questione si fa ulteriormente seria e claustrofobica. Fin dalla prima inquadratura, cioè innescato con un primo piano l’arrivo di Nora (Maya Vanderbeque) al cancello della scuola per il suo primo giorno tra i banchi, la cinecamera di Laura Wandel si piazza sul metro e qualcosa che comprende il taglio a mezzo busto della bimba. Da qui in avanti tutto e tutti verranno tagliati sopra e sotto quella fascia inquadrabile di bimba modello adulti di Charlie Brown delle strisce Peanuts. Ad esempio il padre, l’inquieto splendido faccione fumettistico di Karim Leklou, per parlare con la figlia Nora entra nell’inquadratura chinandosi e fissando in viso la figlia. Spesso e volentieri mani e braccia delle maestre che dividono le zuffe tra scolari in cortile fendono il quadro come braccia burattinesche senza fornire un vero e proprio recupero del corpo ai quali sono attaccati. In una sequenza emblematica nell’ufficio del preside, poi abbiamo finito gli esempi, l’inquadratura è fissa sul mezzo busto di Nora mentre l’azione e la narrazione si svolge di fianco a lei, con qualche gomito, schienale della sedia, bavero di giacca che entra fugacemente in campo e i dialoghi cruciali tra gli altri protagonisti che si srotolano rapidi fuori campo.

Del resto Il patto del silenzio inizia proprio con Nora terrorizzata, e abbracciata al fratello leggermente più grande Abel, rispetto a quello che la scuola/il film le riserverà. Lo spazio del discorso della Wandel è subito delimitato: il microcosmo, la minisocietà della scuola, più specificatamente del suo cortile, in quanto ciò che deve avvenire per dare corpo alla storia avviene solo lì. Il film vive infatti di non detti (cosa succede a casa dei protagonisti o subito oltre il cancello della scuola?), di questioni lasciate in sospeso, di spiegazione che non sono necessarie. Quindi inquadratura ad altezza viso di bimba più spazio limitato inquadrabile. Bella sfida formale. Vinta. Anche piuttosto a mani basse. Il patto del silenzio è un film sulla crudeltà dell’infanzia, un Signore delle mosche apparentemente urbanizzato e concentrato, dove vige una tensione altissima sul viso della protagonista costretta a vedere le angherie psicofisiche subite dal fratello e titubante nel denunciarle, per non trasformarsi nella figura che viola il patto di lealtà informale e violento tra bimbi. Quindi le incertezze iniziali di Nora per stare a galla nella piscina della scuola, sul cavallo da ginnastica in palestra per stare in equilibrio, si stemperano nella progressiva acquisizione di una distanza possibile dal bullismo che si esercita in maniera sistematica e naturale in quel cortiletto che sembra un Bronx qualsiasi. E una volta che la bimba avrà ceduto, spifferando al preside le magagne del cortile, Abel passerà dall’altra parte della gerarchia del potere scolastico nel ruolo di carnefice verso una nuova vittima.

Il cerchio si richiude sempre, insomma, e quel luogo che in tre quarti di cinema mondiale diventerebbe un paradiso idilliaco per genitori petalosi, qui frana nell’incubo e nello scontro individuale. Mai la Wandel finisce nel parossistico o nell’ideologico. L’accadere sembra sgorgare autentico. Sempre ingabbiato in una prospettiva che, infine, in profondità di campo segnerà quattro/cinque metri. Oltre c’è solo sfocatura sullo sfondo. Cinema letteralmente di… classe e di… lotta, soprattutto per adulti. In sala grazie a Wanted dal 2 marzo.

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