Lo stop alla vendita di auto nuove con motori endotermici dal 2035 è tornato improvvisamente a rischio. Il voto sul regolamento, previsto mercoledì mattina alla riunione dei Rappresentanti Permanenti aggiunti dei 27 (Coreper I) è stato rinviato a venerdì dopo che l‘Italia ha messo per iscritto la sua posizione contraria e la Germania ha avanzato corpose riserve al via libera senza adeguate contropartite sui carburanti sintetici. Il nodo è, innanzitutto, economico. Per Roma non si può stabilire “l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 100% nel 2035 e non prevedere alcun incentivo per l’uso di carburanti rinnovabili”. Se ne parlerà venerdì per un voto che a Bruxelles davano per scontato ma che scontato non è più. In caso di via libera, il 7 marzo, il Consiglio Ue darà l’ok formale.

Per la Commissione il problema è che non c’è solo l’Italia a mettersi di traverso. Già al Coreper di novembre la Polonia aveva votato contro e la Bulgaria si era astenuta (per regolamento equivale a un voto contrario). L’aggiunta di Germania e Italia renderebbe concreta la possibilità che ci sia la minoranza di blocco necessaria per affossare il regolamento. Se Polonia e Italia votano contro e Bulgaria e Germania si astengono, viene meno la maggioranza qualificata, perché manca il secondo requisito (65% della popolazione), essendo Italia, Polonia e Germania tre grandi Paesi, pur essendo soddisfatto il primo (almeno 15 Stati membri). E la Commissione dopo mesi di delicati negoziati e dopo l’approvazione definitiva dell’Eurocamera a febbraio non può permetterselo.

È su Berlino che si starebbe indirizzando la moral suasion dell’esecutivo europeo. Per la Commissione un intervento sugli e-fuel è percorribile, visto che diverse misure del pacchetto del Fit for 55 sono ancora in via di approvazione. Inoltre, la posizione della Germania è ambigua: l’ala liberale rema contro – il ministro dei Trasporti Volker Wissing ha preannunciato un’astensione – ma i Verdi e anche i Socialisti finora sono stati convinti fautori dello stop a benzina e diesel.

La posizione italiana, dopo lo sbandamento di novembre quando in Coreper si espresse a favore, ora appare ferma sul no. La dichiarazione del ministero dell’Ambiente è un lunghissimo elenco di iniziative richieste a Bruxelles: sostenere con tutti i mezzi disponibili, legislativi e finanziari, la transizione del settore auto; monitorare e riferire sui progressi verso una mobilità stradale a zero emissioni, considerando tutti i fattori compresa una valutazione delle possibili carenze di finanziamento; garantire, sulla base del monitoraggio, una revisione rigorosa e credibile degli obiettivi nel 2026; presentare una proposta per includere nel regolamento meccanismi di contabilizzazione dei benefici, in termini di riduzione delle emissioni di Co2, dei carburanti rinnovabili. Si ricorda poi che vanno assicurate una serie di condizioni tra cui un approvvigionamento sostenibile e diversificato delle materie prime; adeguate infrastrutture di ricarica e rifornimento; un miglioramento della rete elettrica,.

“Bruxelles deve agire con maggiore pragmatismo, secondo una visione più adeguata alla realtà, nella sfida della transizione ecologica e industriale”, dice il ministro per le Imprese e il made in Italy, Adolfo Urso. Dietro c’è anche il timore che la spinta all’elettrico sia una sponda per l’industria e le batterie cinesi. In attesa di una decisione definitiva, da tempo il comparto si è impegnato nella transizione all’elettrico. Pur evocando sfracelli con l’evidente obiettivo di convincere gli Stati a versare maggiori aiuti.

In vista del summit dei 27 di fine marzo e del piano Net Zero che la Commissione presenterà il 14 marzo assieme alla legge sulle materie prime critiche, intanto, dieci leader hanno scritto a Ursula von der Leyen e Charles Michel per chiedere con nettezza prudenza sull’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato. “Potrebbe esserci il rischio che l’effetto combinato delle misure a breve termine distorca le condizioni di parità e indebolisca i fondamenti della nostra economia”, hanno avvertito i dieci leader, dall’olandese Mark Rutte ai baltici, fino al belga Alexander De Croo. E la loro è una posizione non dissimile da quella italiane e molto distante da Francia e Germania.

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