Non è certo un’isola felice quella che hanno trovato il re Carlo III e il premier Rishi Sunak nei loro nuovi recenti incarichi: prospettive di recessione, investimenti sfumati, stop alle esportazioni e inedite lotte sindacali attraversano la dorsale del Regno Unito post Brexit, definita nei giorni scorsi “un completo disastro” dal finanziere inglese Guy Hands, fondatore del private equity Terra Firma. “L’unica maniera per far funzionare la Brexit sarebbe stata una completa deregolamentazione del Regno Unito per trasformarlo in una specie di Singapore”, ha detto Hands, “ma non sarebbe mai successo” perché lo smantellamento del sistema sanitario, della regolamentazione del lavoro e dei sistemi educativi non sarebbero mai stati accettati dalla popolazione. Ecco perché non stupiscono i sondaggi che mostrano sempre più britannici voler tornare a votare per un nuovo referendum: e questa volta non per uscire, ma per rientrare nell’Unione.

Investimenti al palo – Costa 100 miliardi di sterline all’anno la Brexit secondo Bloomberg Economics. Gli economisti Ana Andrade e Dan Hanson hanno stimato una contrazione dell’economia britannica del 4% rispetto al volume che avrebbe avuto in quanto membro dell’Unione Europea. “Il Regno Unito ha commesso un atto di autolesionismo economico quando ha votato per lasciare la Ue nel 2016? Fino a questo momento le evidenze suggeriscono di ”, hanno scritto gli economisti in una nota. “L’abbandono del mercato unico potrebbe aver avuto un impatto sull’economia britannica più veloce di quanto ci aspettassimo”. Negli anni scorsi una gran parte degli investimenti è stata congelata a causa delle incertezze nel futuro. E sebbene oggi il futuro si sia presentato, resta ancora tanta strada da fare per recuperare il terreno perduto. Attualmente nel Regno Unito gli investimenti sono al 9% del Pil, mentre la media dei G7 è del 13 per cento. Jonathan Haskel, membro del comitato di politica monetaria della Bank of England, ha dichiarato che solo il calo della produttività dovuto al rallentamento degli investimenti è costato l’1,3% del Pil, con un impatto di 1.000 sterline per ogni famiglia britannica.

Deficit record – Anche la bilancia commerciale non sorride ad Albione. Cresce il deficit commerciale, che con l’Unione Europea ha raggiunto il livello record nell’ultimo trimestre del 2022 di 32,9 miliardi di sterline: si tratta del divario tra import ed export di merci più ampio dall’inizio delle rilevazioni nel 1997. Secondo i dati dell’Office for National Statistics le importazioni dall’Ue, escludendo i metalli preziosi, hanno raggiunto in valore gli 82 miliardi di sterline, mentre le esportazioni si sono fermate a 49,2 miliardi di sterline. Ciò potrebbe riflettere l’impatto delle barriere doganali introdotte dopo l’abbandono dell’Unione. “La Brexit è ancora protagonista del quadro [economico], poiché continua a frenare le esportazioni”, ha affermato Gabriella Dickens, senior Uk economist di Pantheon Macroeconomics. Mentre Sophie Hale, principal economist della Resolution Foundation, prendendo spunto dall’ultimo report di febbraio del Monetary Policy Committee della BoE, evidenzia su Twitter che i recentissimi cambiamenti delle modalità di misurazione dei dati sul commercio renderebbero ancor più negativa la fotografia degli scambi con il continente, suggerendo “che gli impatti della Brexit siano molto più profondi di quanto stimato in precedenza”.

Recessione in vista – E sempre a dicembre il Regno Unito ha evitato per il rotto della cuffia l’ingresso in recessione. L’ultimo mese dell’anno è stato chiuso con una contrazione del Pil dello 0,5%, dopo essere cresciuto dello 0,1% e dello 0,55% nei due mesi precedenti. Il terzo trimestre era già stato chiuso al ribasso, con una “crescita negativa” dello 0,2 per cento. Ben Jones, principal economist della Confederation of British Industry, la Confindustria d’Oltremanica, ha dichiarato: “Potremmo aver evitato una recessione tecnica alla fine dello scorso anno, ma probabilmente non la eviteremo quest’anno”. L’economia britannica resta dello 0,8% al di sotto dei suoi valori pre-pandemia del 2019, diversamente dagli Stati Uniti che nello stesso periodo hanno registrato una crescita del 5,1% e dei Paesi dell’eurozona con un aumento del 2,4 per cento.

Inverno caldo – Salgono invece le temperature, non quelle atmosferiche ma quelle dei corpi sociali. Il Regno Unito si appresta a vivere nuove ondate di scioperi dopo le recenti azioni sindacali più importanti dell’ultimo decennio che hanno coinvolto dipendenti pubblici, insegnanti, personale universitario, macchinisti, autisti e guardie di sicurezza, mentre a dicembre il NHS è stato protagonista del più grande sciopero della sua storia. Al centro delle proteste salari e tagli. Ma il quadro a tinte fosche è confermato da gran parte della popolazione, secondo quanto rilevato dagli istituti demoscopici. Un sondaggio di Savanta Poll per il quotidiano The Independent mostra che il 61% dei votanti ritiene che lasciare l’Unione Europea abbia peggiorato l’andamento dell’economia, mentre solo il 13% ritiene che abbia migliorato la situazione. Lo stesso istituto di ricerca, in un altro sondaggio pubblicato da The Independent, ha messo in luce la volontà di ben oltre la maggioranza dei britannici per un nuovo referendum. Il 65% vorrebbe infatti votare di nuovo, e questa volta non per uscire bensì per rientrare nell’Unione Europea. Il 22% vorrebbe votare subito, il 24% entro i prossimi 5 anni, l’11% tra i prossimi 6 e 10 anni, mentre il 4% ancora più avanti. Sono solo il 24% coloro che invece ritengono che non si debba tenere un altro referendum, ed è una percentuale che continua a restringersi: era il 32% un anno fa.

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