di Federica Pistono*

Fin dai primi anni del Novecento nasce e si sviluppa, in seno alla narrativa araba contemporanea, un importante filone letterario che ha per tema la prigionia politica e che si espande in una duplice direzione: da un lato nell’ambito delle memorie letterarie, di cui la letteratura araba vanta un’abbondante produzione e una ricca tradizione, dall’altro nel campo della fiction, in cui realtà e realismo si fondono spesso consapevolmente.

La prigione politica è sempre esclusivamente punitiva e rivolge un’attenzione particolare proprio ai detenuti politici, svelando un mondo di violenze e di torture inflitte allo scopo di fiaccare la volontà dei prigionieri, di spezzarne la dignità e il senso di umanità. Intento centrale di tali testi è quello di focalizzare l’attenzione sulla brutalità del sistema penitenziario, considerato espressione del regime politico vigente, in contrapposizione alla società civile che lotta per l’affermazione dei fondamentali diritti umani, come la libertà di pensiero, di parola e di stampa, il diritto al lavoro, la libertà di movimento, di riunione, di associazione, di religione.

Il prigioniero rinchiuso in una cella abbandona la dimensione della quotidianità, della normalità, per addentrarsi in un’esperienza assolutamente nuova ed estranea a qualunque altra situazione mai sperimentata in precedenza, una “discesa negli inferi” in cui il soggetto si ritrova solo, a dover affrontare l’impatto con il carcere, considerato un “luogo infernale”.

La letteratura palestinese vanta un’abbondante produzione di narrativa di prigionia.

Uno degli ultimi testi appartenenti a questo filone è il romanzo autobiografico dello scrittore palestinese Odeh Amarneh, Memoria di un ragazzo di serie B (Calamus, 2023). La peculiarità di quest’opera è quella di essere stata scritta e pubblicata dall’autore in lingua italiana. Già noto ai lettori italiani con la raccolta poetica Animo di viaggio (Billeci, 2021), grazie alla quale ha vinto il Premio internazionale Poetico Letterario assegnato dall’Associazione A.S.A.S. di Messina, l’autore, nato nel 1976 a Y̔a ̔ bad, paese vicino Jenin nel nord della Palestina, vive e lavora a Roma.

Se nella raccolta poetica l’autore cantava l’amore per la sua terra, un sentimento, seppur venato di nostalgia, inteso anche come un ponte di pace fra i popoli, nel romanzo ci racconta le sofferenze, le difficoltà e le ingiustizie subite dal protagonista e dal popolo palestinese nei primi anni Novanta. L’opera narra la vita di bambino spensierato e felice dell’autore-protagonista nel suo villaggio in Palestina, un’infanzia spezzatabruscamente dalla prima Intifada del 1987. La rivolta popolare si sviluppa nei territori occupati da Israele vent’anni addietro, estendendosi da Gaza alla Cisgiordania, con scioperi, dimostrazioni, scontri con le forze occupanti, azioni di disobbedienza civile. Bambini e ragazzi sono protagonisti dell’Intifada: divenuti improvvisamente adulti, abbandonano il pallone e prendono le pietre. La vita serena di un tempo è ormai un ricordo; l’esercito israeliano vuole punire i fautori della sollevazione, compresi i ragazzi coinvolti nella lotta, ed effettua nei villaggi e nei quartieri delle città palestinesi rastrellamenti, arresti, perquisizioni.

Odeh Amarneh è appena un adolescente quando, con i suoi amici, vive la “rivolta delle pietre” contro i carri armati israeliani. L’esperienza lo conduce in carcere, dove, pur essendo minorenne, sperimenta una dura prigionia, fatta di stenti e torture inflittegli dagli investigatori per estorcergli i nomi dei compagni di lotta. Una reclusione che si protrae per diversi mesi, un periodo in cui il giovanissimo detenuto è privato anche del nome, sostituito da un numero. Cella di isolamento, cibo scarso, ingiurie, percosse e maltrattamenti perché il ragazzo firmi una confessione e riveli i nomi dei complici. Ma Odeh non firma, non confessa, e finalmente viene rilasciato.

Nel narrare le memorie della lotta e della prigionia, la voce dell’autore esprime il dolore di un intero popolo dilaniato, privato dell’identità, della dignità, di un futuro decente.

Come tutti gli autori di diari di prigionia, anche Amarneh utilizza il tema del carcere non solo come modalità di rielaborazione di un’esperienza, ma anche come mezzo di veicolazione di un messaggio politico. La testimonianza del vissuto carcerario si mostra, in sostanza, come lo strumento di una consapevole partecipazione a un processo di “riscrittura” della storia contemporanea, in cui l’autore esprime un implicito bisogno di coinvolgimento intellettuale ed emotivo del pubblico di lettori.

Nonostante le esperienze crudeli del carcere e della tortura, comuni a tantissimi palestinesi della sua generazione e di quelle successive, il cuore di Odeh resta quello di un poeta, innamorato del suo Paese e libero di sognare la pace.

*Dottore di Ricerca in Letteratura araba, traduttrice, arabista, docente, si occupa di narrativa araba contemporanea e di traduzione in italiano di letteratura araba

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