di Savino Balzano

Quando qualche giorno fa scrivevo dell’ipocrisia della politica rispetto all’astensionismo, mi riferivo a momenti come questo: vi sembra normale che un tema così rilevante per il Paese come quello del superbonus esca di punto in bianco fuori dal cilindro di Giorgia Meloni, proprio all’indomani di una consultazione elettorale importante come quella appena trascorsa? Anche un bambino si renderebbe conto della volontà in malafede di sterilizzare l’impatto negativo sul consenso: di certo quella di tagliare le gambe a questo strumento non nasce due giorni fa. Era nell’animo della premier da tempo e si decide di affrontare il momento con l’ennesimo ricorso alla decretazione d’urgenza. L’esecutivo sta raggiungendo le vette massime mai toccate in quanto al ricorso ai decreti legge e alla fiducia. Triste prassi comune, potrebbe opinare qualcuno: vero, ma stride con l’immagine di Giorgia che negli anni scorsi si sbracciava scompostamente in aula rievocando la centralità parlamentare.

L’elusione delle ricadute sul consenso, come pure gli innumerevoli passi indietro e le mirabolanti giravolte, dimostrano ampiamente come a questa classe politica dell’astensionismo freghi assai poco e di giravolte Meloni ne sta facendo davvero a iosa: sulle accise, sul Mes, sull’immigrazione irregolare, sull’Unione Europea, sulle pensioni, sul contante e adesso sul superbonus.

Purtroppo i tristi presagi della vigilia si stanno concretizzando e i nuvoloni addensando: quello di Meloni è il più “tecnico” dei governi possibili. L’agenda Draghi non è mai stata abbandonata e l’austerità ha trovato una via d’uscita per risolvere l’annoso problema del deficit democratico: attraverso le ultime elezioni politiche, le scelte economiche di emanazione europea – le stesse che hanno stritolato l’Italia negli ultimi decenni – hanno trovato legittimazione democratica e Meloni le incarna facendo finta di essere una di noi.

Insomma, per dirla facile facile: un conto è che il reddito di cittadinanza ve lo levi il freddo banchiere Mario Draghi, altra cosa è se a farlo è la ragazza del popolo, quella che si è fatta da sola e che dalla Garbatella arriva a Palazzo Chigi. Suona molto meglio. Ha ragione Giuseppe Conte a denunciare questa deriva, a sottolineare a modo suo come sia in corso una vera e propria restaurazione e secondo me ci azzecca pure quando parla di prossimo attacco al decreto dignità, prevedendo una pericolosissima nuova ondata di precarizzazione del lavoro. Bene, però che lo ammetta una volta per tutte che sostenere Draghi è stato un errore drammatico, perché l’agenda era proprio la stessa, come pure lo è stato l’alleanza con quel partito mezzo morto che dell’austerità da sempre fa la sua bandiera: il Partito Democratico. Dimostri resipiscenza su questo, perché sarebbe un atto di autorevolezza e credibilità: restiamo in trepidante attesa.

E mentre tagliamo il bonus, l’ennesima misura anti regressiva di cui abbiamo bisogno (per carità, si poteva sistemare, ma meglio di nulla: anche perché quella spesa in gran parte ci tornava e la storia dei duemila euro a testa è una sonora balla), si continua a spendere un patrimonio in armi: lo scudo Samp-T che stiamo inviando costa quasi un miliardo di euro, nel 2022 abbiamo raggiunto il record di spesa e nel 2023 è in aumento. Guido Crosetto batte i pugni perché tali interventi escano dal Patto di stabilità e non dimentichiamo che l’Ue ci chiese di togliere l’Iva sulle armi e lo abbiamo fatto con Draghi nel 2022 (con voto favorevole di Fratelli D’Italia, Lega, Forza Italia e, che ve lo dico a fare, Pd).

L’Italia è a un passo dal baratro: mentre si ragiona su un ennesimo e demenziale pacchetto di sanzioni da autocomminarci, da far pagare alla parte più fragile della popolazione, si continua a tagliare forsennatamente lo stato sociale e i diritti di chi ha di meno. Ci avviamo a passi spediti verso un conflitto mondiale, mentre nessuno risponde delle balle raccontate per mesi (oggi Putin mi è parso meno malato e moribondo di quanto si è sostenuto in un anno di guerra: Ursula Von der Leyen qualche ora fa ancora farneticava della Russia “costretta a vendere le riserve d’oro”): nessuno parla di pace e se qualcuno ci prova diventa putiniano, mentre chi soffriva lo fa ancora di più senza che se ne ascolti il drammatico lamento.

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