di Savino Balzano

Come al solito, a poche ore dalla chiusura dei seggi elettorali, si scatena il vecchio patetico mercato delle ipocrisie. Il primo tema ovviamente a essere ampiamente strumentalizzato è quello dell’astensionismo. Bene, la prima cosa da chiarire una volta per tutte è questa: ai politici dell’astensionismo non frega assolutamente nulla.

Prendiamo il caso del Lazio: Francesco Rocca, che ha vinto e legittimamente guiderà la Regione, ha in realtà preso meno voti di quanti ne prese Nicola Zingaretti che vinse le elezioni nelle precedenti consultazioni, ma non solo. A leggere i dati ci si rende conto che ha preso persino meno voti di Stefano Parisi, il candidato del centro-destra che quelle elezioni, quelle del 2018, le aveva perse. Questo non per delegittimare Rocca, ci mancherebbe, ma solo per dire che, al netto dei voti, l’azione politica andrà avanti, le poltrone saranno spartite e i poteri non risulteranno minimamente scalfiti. Anzi, il paradosso è proprio questo: l’astensionismo rafforza la classe politica perché nel 2018 il centrodestra, con trentamila voti in più, si fermava al 31%, oggi tocca quasi il 54%.

La classe dirigente sfrutta il tema dell’astensionismo per non parlare del fatto che la politica vive una crisi sistemica, profondissima: alla gente i politici di questo Paese fanno letteralmente schifo, questo è il problema e i dati ce lo certificano limpidamente. Il fallimento è di tutti: di chi perde, certamente, ma anche di chi vince perché comunque prende meno voti che in passato.

Il tema dell’astensionismo è utile per dirottare il ragionamento e per spostare il faro da una tristissima realtà: a perdere sono in realtà proprio tutti. Se alla politica poco interessa degli italiani che non votano, anzi forse ne gode, il problema è tutto in mano al Paese che vede depotenziato enormemente lo spirito democratico che invece dovrebbe animarlo. Che poi se ci pensate siamo davvero al ridicolo: se la gente non vota c’è il problema dell’astensionismo; se lo fa in massa per un soggetto emergente, allora siamo nel pieno di una deprecabile spirale populista, qualunquista e chi più ne ha più ne metta.

Insomma, l’elettore va bastonato sempre: se resta a casa è pigro (e vai con la proposta del voto elettronico evitando di soffermarsi sul fatto che è l’offerta politica a disgustare la gente) e se vota in massa è il vichingo all’assalto di Capitol Hill.

I politici non sono credibili. Prendete il Partito Democratico, che oggi prova a spiegare il suo epocale declino (speriamo finale) giustificandolo con l’assenza di un segretario in carica. Davvero triste: ma perché, quando in sella c’era Enrico Letta occhi di tigre le politiche sono andate meglio? La dialettica politica è spanata, completamente priva di senso ed Elly Schlein afferma che tocca fare la sinistra, ma guarda anche al terzo “polino”: la vuole fare con Matteo Renzi la sinistra?

E restiamo un attimo al Pd perché qui si consuma un’altra delle celebrazioni più autenticamente ipocrite del post elezioni: l’unità vince. A parte il fatto che i numeri dicono qualcosa di diverso: il Movimento 5 Stelle va da solo nel Lazio e prende più dell’8%, si allea col Pd in Lombardia e non tocca il 4%. Pare evidente che per Giuseppe Conte, e speriamo ci rifletta bene, l’abbraccio col Pd è letale. Ma il tema è un altro: si dice che il centro-sinistra (sedicente, ovviamente) dovrebbe compattarsi, ma attorno a quale idea e, soprattutto, a quale visione di paese?

A ragionare così è chi vede i partiti come meri cartelli elettorali, ma è sbagliato: dovrebbero essere contenitori di visione. Ma se il Pd non è unito nemmeno al suo interno e ogni giorno ce lo dimostra ampiamente, come si può anche solo vagamente immaginare che possa essere collettore di un’alleanza alternativa alla destra?

E poi c’è la grande assente, che ormai solo a parlarne si rischia di risultare stucchevoli ma davvero tocca farlo: la sinistra. La verità è che nel Pd, come nel terzo “polino”, di sinistra non c’è assolutamente nulla. La sinistra sta al Pd come il tartufo alla salsa tartufata: solo nella pubblicità. Oggi si battono per i diritti civili e lo fanno enfatizzando la critica fino all’estremo e anche questo è un becero trucco: serve a nascondere il vuoto cosmico attorno alla lotta per i diritti sociali, per l’equa redistribuzione della ricchezza tra gli italiani, molti sempre più poveri e pochi sempre più ricchi.

Mentre persino Silvio Berlusconi supera a sinistra il Pd sulla politica estera, in via Sant’Andrea delle Fratte si redige l’agenda Ferragni: si propongono sforzi per la parità di genere, sacrosanti, ma a nessuno viene in mente di introdurre, chessò, un’aliquota del 60% per gli scaglioni di reddito superiori al milione di euro. Eppure quei soldini si potrebbero investire per aiutare le tante donne sole che con famiglia a carico non arrivano a fine mese, o quelle che devono lavorare ma non possono pagare una baby sitter.

È il mercato delle ipocrisie che continua, mentre in realtà tutti si sfregano le mani per cominciare a spartire, lottizzare e perpetrare il girotondo della politica eludendo una domanda molto semplice e che in realtà spiega benissimo il perché di questa drammatica emorragia dal costituzionale diritto dovere di voto: se foste un cittadino arrabbiato, scontento, deluso, per chi avreste votato? Chi avrebbe potuto credibilmente rappresentarvi? E, soprattutto, se il voto non catalizza più il livore delle masse, questo dove si riverserà?

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