di Pietro Finelli*

Fratelli d’Italia riesce ancora a fare scandalo come nel Regno di Sardegna assolutista del 1847. La sua esecuzione da parte di Gianni Morandi nella prima serata del Festival di Sanremo ha suscitato l’indignazione di un colto e influente intellettuale come Tomaso Montanari, tanto da spingerlo a dedicargli un articolo sulle pagine di questo giornale lunedì 13 febbraio.

Montanari, le cui battaglie e posizioni spesso mi sono trovato a condividere come molte delle lettrici e dei lettori, propone una lettura esplicitamente nazionalista e di destra del Canto degli Italiani che nega il nesso Risorgimento, Resistenza, Repubblica, riportandoci a una contrapposizione superata non solo dalla Lettera a Mazzini letta da Ascanio Celestini sul palco del 1° Maggio nel 2011, o dalla lettura del Giuramento della Giovine Italia fatta da Roberto Saviano nello stesso 2011 a Vieni via con me, ma addirittura da Palmiro Togliatti, quando aggiungeva il tricolore al simbolo del PCI e chiedeva agli storici di ricercare nel Risorgimento le origini di una via italiana al socialismo.

Si scopre così “l’immaginario militarista” di un inno militare, perché – è bene ricordarlo – Fratelli d’Italia è pensato per essere cantato in guerra, una guerra contro l’oppressore straniero, cosa che sembra tanto scandalizzare il prof. Montanari, ed una guerra triste, su questo ha sicuramente ragione, perché fatta con la consapevolezza dell’enorme squilibrio di forze, che giustifica l’appello a esser pronti alla morte. Quell’appello che tanto poco piaceva a Matteo Renzi da volerlo sostituire con un incongruo “siam pronti alla vita” in occasione dell’apertura dell’Expo di Milano.

L’imperialismo nazionalista dell’Inno sarebbe del resto ben leggibile sin dalle prime righe con l’evocazione dell’elmo di Scipio, “immagine dell’eterna lotta degli italiani contro gli stranieri” e dell’“impero con cui l’Italia si identifica”. Ora, a parte che, come ben sa il prof. Montanari, con Scipione siamo ancora nel pieno della Repubblica romana e l’impero è di là da venire, quello che sembra dimenticare l’autore è che i Cartaginesi contro cui Scipione combatte sono non solo stranieri ma – soprattutto – invasori. L’Italia di Mameli cinge l’elmo di Scipio, un eroe che salva la Patria dall’invasione straniera e allo stesso tempo le istituzioni repubblicane, non quello di Cesare conquistatore e dittatore.
Forse è anche per questo che il Risorgimento italiano è diventato un punto di riferimento per le lotte anti-imperialiste a anticoloniali del XIX e del XX secolo.

Certo il Risorgimento fondò uno Stato nazionale, ma, oltre che all’Unità della Patria, l’imponente mole del Vittoriano è dedicata alla Libertà dei Cittadini. E come avrebbe scritto pochi decenni dopo Giuseppe Mazzini, il ‘cattivo maestro’ di Mameli e il padre ideologico dell’Inno, “la Patria sacra in oggi, sparirà forse un giorno quando ogni uomo rifletterà nella propria coscienza la legge morale dell’Umanità”. Del resto il Canto degli Italiani è uno dei pochi inni aperto alle altre nazioni, dal “sangue polacco” ricordato accanto a quello italiano, a quel voluto plurale dei “Popoli” cui “unione e l’amore” avrebbero rivelato “le vie del Signore”. La Giovine Italia nasce pensando alla Giovine Europa.

Uno Stato nazionale modellato sulla famiglia, ma che è molto più la “patria del cuore” evocata da Mazzini che non la “nazione etnica per via di sangue” cui pensa Montanari. Certo la ‘famiglia nazionale’ è, come scriveva Manzoni, “una di sangue”, ma anche “una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie […] e di cor”. La comunanza, etnica, linguistica, culturale, sono, per Mameli, la condizione necessaria ma non sufficiente perché ci sia una Nazione che può essere fondata solo da un ‘patto giurato’. Solo così il ‘volgo disperso’, gli italiani ‘calpesti e derisi’ potranno assurgere a dignità di Nazione. “Una famiglia – continua Montanari – rigidamente patriarcale”. E qui diventa davvero difficile seguirne il discorso per me. Come possa essere definita patriarcale una famiglia costituita da “fratelli”, come quella del nostro Inno, in cui di padri non ce ne sono da nessuna parte– al massimo una Madre(patria) – è davvero difficile da capire, almeno per chi scrive. E del resto il Risorgimento fu anche una straordinaria e consapevole rivolta generazionale.

Montanari chiarisce che la famiglia di Fratelli d’Italia è patriarcale perché “contano, e dunque vengono menzionati, solo i maschi”, dimenticando ancora una volta che siamo di fronte a un inno di guerra e che la guerra a lungo è stata una questione da ‘maschi’. Certo il cittadino ‘vero’, dai tempi di Atene, è il cittadino in armi, e c’è voluta la Deconda guerra mondiale per mettere in discussione questo assioma condiviso dall’intera cultura repubblicana e democratica, non solo in Italia. Del resto nel Canto degli Italiani le donne c’erano, in una strofa che Mameli decise poi di stralciare in fase di revisione. E se non nell’Inno, le donne ci furono, e non poche, nel Risorgimento, da Antonietta De Pace a Cristina Trivulzio di Belgioioso, da Colomba Antonietti ad Ana Maria de Jesus Ribeiro, meglio conosciuta come Anita Garibaldi (sia detto per inciso donna e straniera).

Come è possibile dunque, questo il cuore dell’articolo di Montanari, che “questo inno così opposto ai valori della Costituzione repubblicana” sia così centrale nella narrazione pubblica dell’Italia repubblicana e democratica?

Se non fossi sicuro che è un testo che ben conosce potrei suggerire al prof. Montanari la lettura del Discorso sulla Costituzione di Piero Calamandrei, costruito per ampia parte proprio sul rapporto tra Risorgimento, Resistenza e Costituzione, sul dialogo tra le “grandi voci lontane” e le “umili voce recenti” e che si concludeva ricordando: “dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione”. Retorica mortuaria anche questa come il Canto degli Italiani?

* direttore scientifico della Domus Mazziniana di Pisa, Istituto Storico di Interesse Nazionale che si occupa di storia del Risorgimento e dell’Italia contemporanea e in particolare della storia dei movimenti democratici e repubblicani negli ultimi due secoli e mezzo

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