I comuni e le regioni non potranno più comprare crediti edilizi. Il governo ha infatti varato una stretta su tutti i bonus che vieterà, tra le altre cose, anche l’acquisto delle agevolazioni fiscali da parte degli enti pubblici. Una pratica nata di recente per dare sollievo alle imprese gravate da 15 miliardi di euro di crediti incagliati, secondo le stime dell’associazione dei costruttori (Ance). Oltre al Superbonus 110 saranno coinvolti il sisma bonus, l’ecobonus, il bonus facciate e quello ristrutturazioni. A spingere il governo verso il blocco delle cessioni è stato il timore, divenuto concreto dopo la revisione dei criteri di classificazione dell’Eurostat sui crediti fiscali, di appesantire il bilancio dello Stato. La questione può sembrare di lana caprina, dal momento che si gioca sulla distinzione tra crediti considerati “pagabili” o “non pagabili”, ma contribuisce a fare aumentare, almeno sulla carta e agli occhi dell’Unione europea, l’indebitamento pubblico.

Nelle ultime settimane erano stati numerosi gli enti locali intervenuti per sbloccare la circolazione dei crediti (soprattutto Superbonus 110). Le cessioni si erano infatti fermate, oltre che per le ripetute strette varate già dal governo Draghi, anche per il fatto che gli intermediari autorizzati all’acquisto, in particolare le banche, avevano esaurito la loro capacità fiscale. Questo mentre le imprese che, fidandosi delle norme inizialmente introdotte, hanno eseguito lavori applicando lo sconto in fattura, si trovano a corto di liquidità. Con il paradosso di avere in pancia miliardi di euro in crediti di imposta inutilizzabili. Per questo gli enti locali e le regioni avevano deciso di scendere in campo. Tra i primi a intervenire è stato il Piemonte che, nella bozza della legge di Stabilità 2023 varata nei giorni scorsi dalla giunta e che passerà ora all’esame del consiglio regionale, ha previsto di comprare da banche o intermediari finanziari crediti di imposta per un importo di circa 50 milioni di euro all’anno. L’idea era quella di liberare spazi agli istituti finanziari consentendo di acquistare altri crediti dalle imprese.

Anche la Sardegna si era mossa su questo fronte, mettendo a disposizione, attraverso la Finanziaria, la propria capienza fiscale, stimata in circa 40-50 milioni di euro al mese, per acquistare i bonus edilizi. In totale, nella regione guidata da Christian Solinas, solo i lavori ammessi in detrazione tramite Superbonus ammontano a 1 miliardo e 983 milioni di euro. La Basilicata, invece, in seguito alla decisione di comprare i crediti dalle imprese, aveva avviato un’interlocuzione con il ministero dell’Economia sul tema. Dopo una ricognizione avviata dalla regione, è emerso che su 886 milioni di euro di interventi agevolati dal Superbonus effettuati nel 2022, i crediti di imposta bloccati ammontano a 200 milioni.

Nei giorni scorsi, in Campania è stata presentata una proposta di legge che prevede l’istituzione di un Fondo di circolazione dei crediti per il quale è autorizzata, per ciascuno degli anni dal 2023, 2024 e 2025, una spesa di 100 milioni di euro. Anche il governatore lombardo, Attilio Fontana, a inizio febbraio aveva dichiarato l’apertura di un confronto con il governo “per cercare di sbloccare, con un ruolo attivo della Regione Lombardia, i crediti d’imposta delle imprese di costruzioni legati al Superbonus edilizio 110%”. Questa settimana ha preso posizione anche il presidente della Liguria, Giovanni Toti, che ha annunciato l’intenzione di procedere con gli acquisti, mentre, pochi giorni prima, si erano fatti avanti la Provincia e il Comune di Pesaro, con la provincia di Treviso che aveva invece già proceduto a comprare crediti edilizi per 14,5 milioni di euro da due banche. Tutte iniziative che il decreto varato ieri renderà illegittime. Con buona pace delle imprese.

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