A volte il confine tra la parodia e la realtà è così labile che la prima anticipa la seconda. “Se le elettrici e gli elettori delle Regionali non si sono resi conto, che le persone e le proposte del Terzo Polo sono le migliori, serie e fattibili, la colpa non è nostra”, twittava lunedì sera l’account Callo Carlenda, il “fake” del leader di Azione, a commento dei risultati deludenti alle elezioni in Lombardia e nel Lazio. Insomma, hanno sbagliato gli elettori? “Sì, non ho timore di dirlo”, è stata la sofisticata analisi del voto del vero Carlo Calenda al Corriere della Sera in edicola martedì mattina. Un concetto poi rivendicato, ampliato e approfondito nello stesso dialogo con il quotidiano di via Solferino e sui social.

Il capitombolo di Azione-Italia Viva è avvenuto nelle due regioni in cui, nelle precedenti tornate tra le amministrative di Roma e le scorse Politiche, i risultati erano stati più lusinghieri. In Lombardia hanno raccolto il 4,25% cioè meno della metà del 10,15% di settembre e ancora peggio è andata a Milano città con un crollo dal 16,34% del collegio senatoriale che compre quasi tutta la città al 6,56%. Scenario simile nel Lazio dove l’8,5% delle Politiche si è quasi dimezzato nel 4,87% delle Regionali, con Roma città ferma al 5,83% quando nei tre collegi senatoriali a settembre le percentuali erano oscillate tra l’8,1 e il 14%. Una dispersione di voti gigantesca nei due principali serbatoi da cui espandere la propria crescita. Ma mentre Matteo Renzi – che molto si è speso in Lombardia – tace in attesa del sorpasso su tutti i partiti vaticinato a dicembre e previsto alle Europee 2024, Calenda rivendica ogni propria mossa a iniziare da Letizia Moratti candidata alla presidenza lombarda.

Le uniche ammissioni sono inevitabili, lapalissiane. Uno: “Abbiamo perso”. E ci mancherebbe. Due: “Non mi aspettavo il risultato in Lombardia nei termini in cui si è delineato”. Poi iniziano le scuse: “Quello regionale è un voto difficilissimo per noi. Le preferenze pesano e noi invece dipendiamo da un voto di opinione. La peggiore condizione possibile per chi vuole spezzare il bipolarismo”, attacca il leader di Azione. Quindi si inizia a spostare il focus altrove: la neonata federazione di centro ha scelto come candidati “i due assessori regionali che meglio hanno gestito il Covid, per guidare due Regioni, enti in cui il bilancio è quasi tutto assorbito dalla sanità. Non è importato a nessuno”. Qual è il problema? “Il voto è fideistico, i candidati contano poco”. Ma Calenda ha un’altra idea: “Faccio politica proprio perché voglio scardinare questo sistema che porta a un’astensione sempre più alta con votanti sempre più divisi tra guelfi e ghibellini e al declino del Paese. Forse siamo condannati e io sono un irrimediabile idealista. Ma non mi arrendo”.

Insomma, sono gli elettori che sbagliano: “Sì, non ho timore a dirlo”. Una profonda convinzione, ribadita su Twitter in tarda mattinata: “Gli elettori decidono ma non hanno sempre ragione. Altrimenti non saremmo messi così”. Di diverso avviso il segretario lombardo di Azione, Niccolò Carretta, che si è dimesso spiegando che in realtà il risultato è “fallimentare” e “dimostra l’incomprensibilità delle nostre scelte che non sono stato in grado di contrastare”. Per Calenda è tutto frutto di una “maledizione italiana”, quella per cui “si vota per appartenenza”. Prescindendo dai candidati e dalla “qualità delle sue proposte” e “poi mi lamento di chi governa”. Assicurando che l’obiettivo “non è distruggere il Pd” perché “l’Italia ha bisogno di un partito socialdemocratico, come di un partito liberale”, Calenda – come fa da mesi – diventa l’analista dei dem: “Il problema del Pd è piuttosto che i suoi dirigenti, dopo ogni sconfitta, spiegano che hanno perso per colpa di qualcun altro”. Solo i dirigenti del Pd, eh, lui no.

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