Un portavoce della società tedesca Siemens AG ha smentito la sottoscrizione di una dichiarazione di boicottaggio di Israele nel 2018 per ottenere un appalto delle ferrovie turche, denunciata da un servizio dell’emittente SWR di cui pure ilfattoquotidiano.it ha riportato. Siemens avrebbe soltanto fornito “una lista positiva ammessa legalmente sull’origine dei pezzi”, escludendo di usare parti fabbricate in Israele. Il gruppo, ha ribadito il portavoce, è però attivo da circa 60 anni ed è profondamente radicato in Israele in diversi settori. La smentita è stata prontamente ripresa dall’Handesblatt e diverse altre testate.

Gettata acqua sul fuoco, come atteso la questione non ha avuto forte eco nell’assemblea generale degli azionisti della società tedesca giovedì, anche se dopo il pezzo della SWR il titolo ha subito una leggera flessione. Siemens Mobility ha infatti buoni risultati, così come i settori Smart Infrastructure e Digital. Problematici invece i rami Siemens Healthlineers e Siemens Energy, in cui l’azienda tedesca in effetti ha rispettivamente partecipazioni del 75 e del 35 per cento. Il ramo sanitario è parte del cuore originario di Siemens, ma è un settore in rapida ristrutturazione e si specula che l’azienda sia alla ricerca di un partner forte per ridurvi la partecipazione. Ancor più probabile il disimpegno di Siemens nel settore energetico; soprattutto la consociata Siemens Gamesa nel ramo eolico è in perdita ed in Spagna è stata ritirata dalla Borsa. Ad ogni buon conto l’assemblea generale si tiene in via telematica, Siemens ha costruito uno studio nella sede di Wittelsbacher Platz, oltre a ridurre i costi, preserva il management da manifestazioni di protesta fuori dall’Olympiahalle.

La stessa SWR, nel frattempo, ha modificato il suo servizio, non rinunciando a specificare che Siemens inizialmente aveva rifiutato di prendere posizione. L’azienda, spiega l’emittente, “pone peso al chiarimento che la joint-venture di Siemens AG e Siemens AŞ Türkei è stata realizzata solo a fini fiscali e non per aggirare o nascondere alcunché”. L’emittente insiste però al contempo di avere rapporti interni dell’azienda relativi alla richiesta di sottoscrizione del boicottaggio, e che a pagina 69 di una presentazione riservata appaiono tre diverse strategie per ridurne l’impatto. Menzionando specificamente tra queste anche il ricorso ad una lista di Paesi di provenienza ammessi; così come la firma del contratto a nome di un progetto comune di diritto turco. Con la reazione in cui afferma di aver siglato solo “una legittima lista positiva” che la impegna a montare unicamente parti che non provengano da Israele e confermando la joint-venture tra Siemens AG e Siemens AŞ Türkei, l’azienda di Monaco di Baviera, di fatto, pur ridimensionandone la portata, conferma il fondamento della ricerca di SWR.

Il presidente della Dig, l’associazione Germania-Israele Volker Beck ha spronato il ministero dell’Economia a rafforzare la normativa sul commercio estero che vieta impegni di boicottaggio al di fuori di quelli dettati dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, dal Consiglio Ue o dalla stessa Repubblica federale tedesca, affinché sia meno aggirabile. Beck aveva anzi annunciato la presentazione di una denuncia perché il comportamento di Siemens, anche se non direttamente sanzionabile, venga valutato giuridicamente. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto alla Dig se vi ha dato corso o se ritiene sufficienti i chiarimenti dell’azienda senza però ricevere risposta.

Nonostante la normalizzazione di relazioni diplomatiche con Gerusalemme, negli Stati arabi d’altronde le clausole contrattuali di boicottaggio di Israele rimangano uno standard, ricorda SWR citando dall’analisi interna della Siemens. Dopo oltre un decennio di raffreddamento dei rapporti politici, l’ospitalità di Ankara ad una rappresentanza di Hamas non ha interferito neppure, un anno fa, al nuovo scambio di ambasciatori anche tra Israele la Turchia.

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