Il primo turno delle elezioni presidenziali nella Repubblica di Cipro si è concluso con un risultato sorprendente. Il centrista Nikos Christodoulides si è imposto con il 32 per cento dei voti. Espulso a inizio anno dal conservatore Raggruppamento Democratico (DISY) di cui fa parte il Capo di Stato uscente Nicos Anastasiades, Christodoulides è appoggiato dal Partito Democratico (DIKO) e dai progressisti del Movimento Social Democratico (EDEK). Al secondo posto è giunto l’indipendente Andreas Mavroyiannis, sostenuto dai marxisti del Partito Progressista dei Lavoratori (AKEL), con il 29.6 per cento dei voti. Averof Neofytou, membro del DISY, ha raccolto appena il 26 per cento nonostante le previsioni dei sondaggi: è fuori dal ballottaggio. Cipro è una repubblica presidenziale e il Capo di Stato è anche Primo Ministro: la vittoria alle elezioni avrà, dunque, grande influenza sul futuro di questa nazione.

Cipro è un’anomalia sullo scenario europeo perché l’AKEL, fieramente marxista-leninista, è una delle due formazioni politiche più importanti del Paese. La possibilità che un partito comunista possa governare una nazione europea, per di più in un momento di grave crisi dei progressisti nel Vecchio Continente, è una novità quasi assoluta. Non ci dovrebbero essere timori sulla tenuta democratica perché l’AKEL si già imposto alle elezioni presidenziali, nel 2008 con Demetris Christofias, e l’isola non si è trasformata in una nuova Cuba. Lo statuto del partito evidenziava, ancora nel 2015, la fede nel Marxismo ma anche la necessità di “rinviare la lotta per l’instaurazione del socialismo” sino alla “riunificazione dell’isola”. Le promesse dell’AKEL godono comunque di popolarità perché la forza elettorale si è mantenuta costante nel corso degli ultimi 60 anni.

Il prossimo presidente, come ricordato da Politico, dovrà affrontare una serie di complesse problematiche nel corso dei prossimi cinque anni. Dalle turbolenze economiche alla crescita dell’immigrazione illegale, dalla corruzione presente tra la classe politica all’impasse che impedisce la riunificazione di Cipro. Christodoulides è considerato un sostenitore della linea dura su quest’ultimo tema e i partiti che lo sostengono sono considerati inflessibili in materia. Mavroyiannis, in passato capo negoziatore nei colloqui di riunificazione con i turco-ciprioti, ha promesso di voltare pagina e di impegnarsi per far ripartire le trattative.

Cipro è divisa in quattro parti: la Repubblica di Cipro occupa la porzione meridionale dell’isola e il 60 per cento del suo territorio. Qui ci sono anche due basi militari piuttosto importanti del Regno Unito, residui del periodo coloniale britannico. La porzione settentrionale è occupata dalla Turchia e nel mezzo c’è una linea di demarcazione, in alcuni tratti ampia, gestita dalle Nazioni Unite. Le comunità greco-cipriota (75 per cento della popolazione) e turco-cipriota (25 per cento) non sono riuscite a condividere il potere dopo l’indipendenza avvenuta nel 1960 ed il colpo di Stato nazionalista del 1974, che mirava a una riunificazione con Atene, spinse la Turchia ad invadere l’isola e a occuparne una porzione. Da allora la situazione è di fatto congelata, i colloqui di pace sono falliti e la Repubblica Turca di Cipro Nord è riconosciuta unicamente da Ankara. Nicosia è l’ultima capitale del mondo ad essere ancora divisa da un muro, anche se le due comunità che la abitano condividono la stessa storia ed utilizzano le medesime infrastrutture.

Nel 2022 Cipro è stata al centro di tensioni riguardanti Grecia e Turchia. Ankara aveva annunciato un aumento della propria presenza militare sull’isola in risposta all’abrogazione dell’embargo di armi nei confronti dell’amministrazione greco cipriota da parte di Washington. La Turchia ha accusato gli Stati Uniti di aver assunto una posizione sbilanciata schierandosi dalla parte di Atene e ha messo indirettamente in dubbio il ruolo di mediatore giocato dagli Stati Uniti. La scoperta, negli ultimi decenni, di ingenti volumi di gas naturale nel Mediterraneo Orientale ha provocato nuove tensioni perché questi ultimi si trovano in aree marine rivendicate sia da Ankara che da Cipro Nord. Lo sfruttamento di questi giacimenti, necessario in un momento in cui l’Unione Europea persegue la diversificazione energetica, risulta problematico e il loro futuro quantomeno incerto.

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