Due anni è la condanna inflitta dal Tribunale di Torino a Simone Caminada, assistente e compagno di Gianni Vattimo, processato per circonvenzione di incapace ai danni del filosofo. Secondo l’accusa avrebbe approfittato delle fragilità del professore per interessi personali ed economici. Lo stesso Vattimo – oggi non presente in aula – ha sempre detto di non essere mai stato raggirato da Caminada. Lo scorso 12 dicembre la Procura aveva bloccato l’unione tra Vattimo e l’assistente perché i periti avevano “evidenziato patologie che portano a un deficit sul piano previsionale, esecutivo e sulla capacità di autodeterminazione. Un disturbo depressivo aggravato dal Parkinson”.

All’imputato sono state concesse le attenuanti generiche. Il tribunale, però, contrariamente alla prassi in uso dopo l’entrata in vigore della riforma Cartaria, al termine della lettura del dispositivo non lo ha informato sulla possibilità di ricorrere a pene sostitutive della detenzione perché – è stato spiegato – “non vi sono i presupposti“. Le ragioni saranno esposte nelle motivazioni della sentenza, che verranno depositate fra tre mesi.

“Gianni non è qui solo perché c’è un guasto all’ascensore. Ma credo che quando gli parlerò, non appena sarò tornato a casa, si limiterà a un’alzata di spalle. Non è una notizia che sconvolge la nostra quotidianità – ha dichiarato Caminada – Non penso che si tratti di discriminazione. Diciamo piuttosto che è stata falsata la verità“. Alla domanda se si sia mai pentito di qualcosa, l’uomo ha risposto con una battuta: “Ci siamo pentiti quando a Roma, in occasione dell’80º compleanno di Gianni, da un monastero ci hanno detto ‘se volete siete nostri ospitì e noi non abbiamo approfittato”.

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