I prezzi salgono, i redditi ristagnano e il potere d’acquisto reale crolla. La dinamica è ben nota alle famiglie italiane ma ora la fotografa anche l’Ufficio parlamentare di bilancio, che nella nota sulla congiuntura di febbraio descrive un’Italia in cui i consumi aumentano solo grazie all’erosione del risparmio. Una tendenza che continuerà per tutto il 2023, nonostante l’inflazione abbia ormai superato il punto di picco.

Il tasso di crescita dei prezzi, dopo il balzo dello scorso anno, è ora “atteso in graduale flessione per effetto dell’allentamento delle tensioni sui mercati delle materie prime (energetiche e non)”, spiega il rapporto, ma la flessione “è frenata dalla traslazione degli elevati costi degli input produttivi, in particolare di quelli industriali non energetici, a valle del processo produttivo”. E i salari nel frattempo restano fermi o quasi: “Le pressioni derivanti dalla maggiore inflazione al consumo saranno incorporate soltanto parzialmente nella dinamica salariale, con i redditi unitari da lavoro dipendente che aumenterebbero di circa il 2,3 per cento nella media dell’orizzonte di previsione, delineando quindi una rilevante perdita di potere d’acquisto“.

Come reagiscono le famiglie? Dopo il balzo di primavera (2,5%), i consumi privati sono cresciuti allo stesso ritmo anche nel terzo trimestre. Ma l’incremento è stato finanziato soprattutto dai risparmi, dato che il potere d’acquisto è stato poco più che stagnante. “La spesa delle famiglie in estate è stata solo in minima parte alimentata dall’aumento del potere di acquisto (0,3 per cento in termini congiunturali)”, scrive l’Upb, “in quanto l’incremento dei redditi nominali (1,9 per cento) è stato largamente eroso dall’aumento dei prezzi. Ne è derivato un marcato riassorbimento della propensione al risparmio, scesa al 7,1 per cento del reddito disponibile (dal 9,0 del trimestre precedente), circa un punto percentuale al di sotto della media del biennio antecedente la pandemia”.

Gli investimenti, continua l’Upb, sono cresciuti in tutti i trimestri del 2022, ma a un ritmo via via inferiore, passando dal 3,8% di gennaio-marzo allo 0,8% del periodo estivo. Nella seconda parte dell’anno l’incremento dei tassi d’interesse ufficiali e la conclusione del quantitative easing hanno reso più rigide le condizioni di credito; la dinamica dei prestiti si è ridotta, anche per via dell’indebolimento congiunturale, sia per le aziende (4,8% a novembre sui tre mesi precedenti, dal 9,8% di ottobre) sia per le famiglie (sul fronte dei mutui come su quello del credito al consumo).

La crescita annuale del Pil, stimata al 3,8% per il 2022 sulla base dei dati trimestrali disponibili, viene confermata per il 2023 allo 0,6% ed è rivista al rialzo per il 2024 (all’1,4%). Ma lo scenario è gravato da “diversi elementi d’incertezza, soprattutto di matrice internazionale”, a cominciare dalla guerra fra Russia e Ucraina. L’occupazione, in termini di unità di lavoro standard (Ula), crescerebbe quest’anno a un ritmo (0,5 per cento) appena inferiore a quello del Pil, per poi raddoppiare nel 2024. Anche il numero di occupati è atteso in aumento (0,7 per cento nella media del biennio 2023-24) ma meno del prodotto, in particolare nel prossimo anno. La partecipazione al mercato del lavoro è prevista crescere debolmente, anche a causa della flessione della dinamica demografica, per cui nell’anno finale di previsione risulterebbe ancora inferiore ai valori pre-crisi.

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