Un annetto di tira e molla, di dichiarazioni incrociate, al solito infuocate quelle dei procuratori e tranquillizzanti quelle della società e l’epilogo finale del “via a zero”. È uno scenario ormai comune, molto comune nel campionato italiano: l’ultimo è Skriniar, prima di lui è toccato a Kessie, a Insigne, a Donnarumma, a Belotti e ora il Milan spera non accada lo stesso per Leao visto che gli ingredienti ci sono tutti. Sullo sfondo il dibattito tra chi attribuisce la responsabilità alla Bosman, che però è vecchia di 30 anni ormai, chi allo strapotere dei procuratori e chi al calcio moderno: francamente poco appassionante.

Il dato che balza agli occhi riguardo i calciatori nominati sopra è che quattro di loro erano capitani delle loro squadre prima di abbandonare la nave. Non l’unico tratto in comune: in quelle squadre ci erano arrivati giovanissimi o sconosciuti o entrambe le cose, vi si erano formati, si erano guadagnati sul campo la fascia da capitano, l’amore dei tifosi e della città.

Donnarumma col Milan aveva esordito a sedici anni grazie a Mihajlovic che ne aveva intuito le potenzialità, indiscusse, facendolo diventare prestissimo titolare della squadra rossonera: già allora iniziano le prime querelle tra l’agente del giocatore, il compianto Mino Raiola e la dirigenza, con il procuratore che annuncia il rifiuto del rinnovo salvo poi firmare il nuovo contratto (stravaganze comprese, tipo contratto quadrieannale anche al fratello Antonio, portiere all’epoca militante nel campionato greco). Nel 2021 però non c’è il lieto fine: non c’è incrocio tra richiesta e offerta e Donnarumma lascia il Milan a zero, con un danno innegabile per la società che l’ha valorizzato, che non monetizza per la cessione di un calciatore di assoluto valore che ha contribuito a formare.

Era 31enne invece Insigne quando ha deciso di lasciare Napoli, dove giocava da quando ne aveva 15: aveva ereditato la fascia da Hamsik e da capitano aveva alzato la Coppa Italia nel 2020. Nell’ultimo anno di permanenza a Napoli il tira e molla con la società, interessata a ridurre il monte ingaggi dove Insigne pesava per 4,6 milioni di euro netti e l’addio per accasarsi a Toronto guadagnando più del triplo ma finendo fuori dal calcio europeo e dalla nazionale con cui l’esterno di Frattamaggiore aveva appena vinto l’Europeo. Un addio col senno di poi non troppo doloroso per i partenopei che di lì a qualche mese si sarebbero ritrovati con Kvaratskhelia a prendere il posto di Insigne. E c’è da dire che in questo caso, come pure in quello di Dybala ad esempio, decisiva è stata pure la valutazione della società di considerare “sacrificabile” il calciatore in scadenza.

Il Torino invece Belotti avrebbe voluto tenerlo: l’aveva preso a 22 anni dal Palermo e per cederlo, quando il Gallo mette a segno 26 gol in una stagione in Serie A, Cairo chiedeva 100 milioni di euro. Si svincolerà a zero per accasarsi la scorsa estate alla Roma di Mourinho.

L’Inter aveva pagato 30 milioni di euro Skriniar dalla Samp dopo una sola stagione in blucerchiato: lo slovacco era arrivato per un milione dallo Zilina e si era dimostrato un muro. In nerazzurro aveva confermato le buone impressioni: a tratti insormontabile, diventa il punto forte della squadra nerazzurra, vincendo lo scudetto con Conte e guadagnandosi la fascia di capitano. Per lui l’Inter ha detto no in estate un’offerta da 60 milioni di euro dal Paris Saint Germain pur essendo Skriniar in scadenza, poi il rifiuto dell’offerta di rinnovo: si accaserà al Psg a fine stagione senza che l’Inter ci guadagni nulla.

Il Milan, che dopo Donnarumma aveva perso Kessie a zero la scorsa estate dopo averlo pagato 28 milioni di euro all’Atalanta, ora deve gestire la situazione del rinnovo di Leao: è in scadenza nel 2024, ha una clausola rescissoria da 150 milioni, si tratta anche per evitare di perdere a zero un calciatore che i rossoneri hanno preso a 20 anni dal Lille, hanno protetto quando la fase di adattamento è stata complicata e hanno trasformato in uno dei più apprezzati talenti a livello europeo.

Insomma: una vasta gamma di esempi in un quadro stucchevole. Per carità, inutile ricordare Gigi Riva e la sua fedeltà a Cagliari, il rinnovo in bianco di Del Piero, e poi Totti e poi Maldini e poi Zanetti: la realtà è questa. La realtà è anche una Serie A che non è più quella in cui giocavano Del Piero, Totti e Zanetti e che l’ambizione di un calciatore di gareggiare nei campionati più importanti e nei club più importanti e per i traguardi più prestigiosi è legittima. È legittima l’ambizione di guadagnare di più, anche se tra tantissimo e tantissimo più uno o più due non pare cambiare molto. Meno legittimi appaiono balletti e modalità laddove si è stati parte di una storia, che non è solo un insieme di partite messa una dietro l’altra ma anche di gioie, dolori e per quanto possa sembrare difficile pure sentimenti.

Ci sono poi i casi limite, come quello di Zaniolo: con la richiesta a metà campionato di non venire convocato e giocare per la squadra in cui si milita, salvo rifiutare le offerte che arrivano essendo costretti a restare…ormai fuori da un progetto e da una realtà che è stata ripudiata.

Certo in un quadro del genere è palese che l’errore è pure delle società a non monetizzare quando potrebbero: difficile togliere calciatori simbolo e beccarsi anche le contestazioni dei tifosi, ma visto che a parti invertite non c’è la stessa attenzione val bene una contestazione con milioni vitali per andare avanti in cassa… al netto dei probabilissimi messaggi di commiato post vendita modello: “Non sarei mai andato ma per il club era un’offerta irrinunciabile, mi spiace”. Banale, già, come è banale dire che “ormai questo è il calcio”: è vero, ed è stucchevole… come i capitani che abbandonano le navi.

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