In questo Paese dove spesso le cose girano al contrario, ogni tanto capita che qualcuno riesca a ristabilire il verso giusto delle cose. Se poi questo raro fenomeno accade nel calcio, repubblica delle banane nella terra dei cachi, succede che la normalità diventi notizia. Perché è un cortocircuito in un mondo storto. Facile facile: la passione e il senso civico vengono prima della possibilità di vincere qualche partita, di gioire per un gol. Chissenefrega della classifica.

I fatti. Manolo Portanova ha 22 anni. È un calciatore del Genoa. È considerato un talento. Il 6 dicembre scorso – San Nicola, calendario beffardo – è stato condannato in primo grado con rito abbreviato a sei anni di carcere. L’accusa: stupro di gruppo ai danni di una ragazza di 20 anni. A seguito della sentenza e dopo gli arresti domiciliari, non è mai stato convocato dalla sua squadra, anche e soprattutto dopo la rivolta dei tifosi. Il Bari, al quinto posto in Serie B (il Genoa è secondo), ha bisogno di un centrocampista, ha poco da spendere e pensa a lui per il mercato di riparazione di gennaio. Trattativa lampo, accordo raggiunto. Poi succede di nuovo: i tifosi insorgono sui social. Migliaia di messaggi indignati, non vogliono che Portanova indossi la maglia della loro squadra del cuore. L’accusa di stupro non ammette sfumature buoniste. La società è costretta a fare marcia indietro: Portanova resta in Liguria. È comunque una storia triste, sbagliata.

Considerazioni a corredo. Questa trattativa non doveva nemmeno cominciare. Perché fa male a troppi. Fa male a Manolo Portanova, che per la giustizia ordinaria è innocente fino a condanna definitiva: il suo mancato approdo in Puglia a causa della rivolta dei baresi è un carico da novanta sulla pressione e il morale di un ragazzo di 22 anni che ha commesso – secondo il giudice dell’udienza preliminare – la più inaccettabile delle schifezze. Per dirla un po’ zotica: ciao ciao silenzio mediatico, tutti parlano di nuovo della sua condanna, ennesima pubblicità negativa. Fa male a chi ha denunciato quella violenza sessuale: cambiare città per andare a giocare in un’altra squadra è comunque un’opportunità, un nuovo inizio, nuovo inizio che chi è costretto a subire le conseguenze giornaliere di una violenza magari non riesce ancora a concedersi. È crudele, irrispettoso, davvero tanto.

Fa male alla città di Bari: troppe onte negli ultimi anni, troppi affronti. Due fallimenti, il calcioscommesse, Masiello che si vende il derby col Lecce, la Serie D; e ora che le cose iniziano ad andare bene, ora che le immagini del San Nicola stracolmo di entusiasmo fanno il giro d’Italia, ecco la trovata del genio di turno che rovina armonia, immagine e priscio. Alla zotica, atto secondo: pubblicità negativa nel bel mezzo del trend positivo, si poteva e doveva evitare. E poi fa molto male al mondo del calcio: va bene la presunzione di innocenza, va bene la regola applicata alla lettera che consente a un condannato di poter comunque continuare a lavorare (sì, e non c’è nulla di sarcastico in questo), va bene la seconda possibilità, la riabilitazione e altro mappazzone politically correct, ma vogliamo dirlo una volte per tutte che ciò che vale per il codice penale non può valere per lo sport?

Sveglia, è semplice: lo sportivo (in questo caso il calciatore) dovrebbe essere un esempio positivo, un eroe buono almeno per chi ancora crede nella purezza della competizione (i bambini), è colui che fa esultare, che fa ridere, che fa sognare. Non sempre è stato così, per carità: la storia del calcio è piena di personaggi maledetti e folli, forse anche per questo motivo ancora più amati. Ma cambia la visuale: spesso hanno fatto male a loro stessi, raramente agli altri. Di certo, fratacchioni o dannati, sono personaggi pubblici, il più delle volte molto famosi, il che comporta un surplus di responsabilità, inutile negarlo. Insomma: non può avere certe macchie. Qui siamo ancora oltre: c’è di mezzo una condanna, per un reato gravissimo. Serve l’attimo di lucidità dell’ubriaco: le istituzioni sportive che fanno a gara per tagliare nastri alle nobili iniziative sociali che sanno tanto di sbiancamento di coscienze immonde, devono mettere mano alle regole e normare una volta per tutte determinate situazioni.

Chi ha una condanna per reati così infamanti deve essere sospeso fino a quando la giustizia ordinaria avrà fatto il suo corso, altrimenti le storie sbagliate come quella di Portanova al Bari rischieranno di ripetersi enne volte. Con conseguenze beffarde ma dolcissime: ci pensa la gente comune, i tifosi, come la magistratura che spesso e volentieri è costretta a supplire alle mancanze della politica. È successo a Genova, è successo a Bari: le società hanno provato il colpo gobbo (non lo ammetteranno mai), le piazze sono esplose, l’affare è saltato. Motivi di decenza. E di protezione di una passione, perché, dai, non si può tifare per una squadra in cui milita un presunto stupratore. Reazione pavloviana, bella notizia: vuol dire che l’attenzione su certi temi inizia a non avere tentennamenti. Con buona pace di presidenti e dirigenti che bivaccano su ciò che resta di uno sport popolare per nascita ma ormai impopolare per colpa loro.

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