Le parole contano, soprattutto quando le si usa per pubblicizzare una politica societaria. Un’azienda del settore rinnovabili, con sede in Inghilterra, uffici a Foggia e con richieste di installazioni per centinaia di Mw in vari stati di approvazione descrive la sua attività sul sito istituzionale con queste parole: “Noi andiamo a caccia di terra per installarvi impianti di energia rinnovabile”. Usa proprio l’espressione “caccia” e non ricerca, platealmente indifferente alla valenza predatoria della parola. Significa che ormai l’Italia è diventata riserva di caccia delle multinazionali e che queste neanche più si curano di mascherare i loro intenti. Significa che il landgrabbing in Italia è già in corso e dobbiamo fare qualcosa per fermarlo.

È in atto nel sud dell’Italia una drammatica metamorfosi del paesaggio agrario in qualcosa di mai visto prima: distese di pannelli solari accanto a enormi pale rotanti. Territori che negli ultimi anni erano riusciti a innescare un dignitoso sviluppo turistico, grazie anche a paesaggi incontaminati dagli impatti più disastrosi dell’industrializzazione del secondo dopoguerra e dalla cementificazione. Sono ora diventati i luoghi dove installare gli impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili. Le vittime predestinate della estrazione di energia rinnovabile dal sole e dal vento sono l’agricoltura delle aree marginali e i crinali dell’Appennino centromeridionale, per non parlare degli uccelli, soprattutto i rapaci.

E tutto in nome della transizione energetica che il nostro Paese ha avviato sotto la spinta frettolosa e anche ideologica dell’Europa. Una transizione che non solo non abbassa il costo della bolletta elettrica, ma, anzi, potrebbe essere tra i fattori trainanti al rialzo, come evidenziato dalla forte crescita del prezzo della materia energia già nel III e IV trimestre del 2021, quando in Ucraina non si combatteva. Il prezzo dell’energia è stabilito con un sistema (il cosiddetto Mercato del Giorno Prima) che di necessità deve affidarsi alle fonti sicure, quali il gas, rispetto a quelle intermittenti. Ecco perché le rinnovabili non influenzano il prezzo di mercato dell’energia elettrica. È invece sicuro che le rinnovabili gravano sulle bollette degli italiani con gli oneri a sostegno delle energie rinnovabili ed alla cogenerazione (Asos). In base ai dati Arera (Autorità di regolazione per Reti, Energie e Ambiente), per il solo 2020 gli oneri Fer sono arrivati a quota 11,5 miliardi di euro, per una quantità di energia elettrica incentivata pari a circa 62 TWh (Summary.2021 Arera). Infine bisogna aggiungere anche la “mancata produzione” da inseguire a pagamento con fonti tradizionali e disponibili immediatamente al dispacciamento.

I miliardi di incentivi alle rinnovabili sono in effetti pagati dalla comunità nazionale che vorrebbe vederli spesi in maniera rispondente alle esigenze collettive, indicate nel Pniec 2030 (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima) votato in Parlamento. È grave che questi soldi finiscano invece per finanziare opere contrarie alla volontà delle comunità producendo impatti sociali negativi, e che spingano le aziende a presentare una pletora di progetti di scarsa qualità, intasando gli uffici autorizzativi. Per non parlare dei gravi casi denunciati dalle procure siciliane, di infiltrazioni mafiose.

In ottobre le richieste di connessione alla rete di trasmissione nazionale di nuovi impianti rinnovabili hanno raggiunto il valore complessivo di circa 300 GW di potenza (di cui il 36% da fonte solare e il 74% da fonte eolica onshore e offshore). Un dato pari a oltre 4 volte il fabbisogno di 70 Gw di nuova capacità rinnovabile necessario per raggiungere i target climatici indicati nel Pniec. È evidente che vi sia un eccesso di domande, una sorta di assalto alla diligenza piuttosto che a una serie di progetti ben valutati. Di per sé, il rilascio del benestare all’allaccio alla rete da parte di Terna non significa l’entrata in funzione degli impianti, perché prima bisogna ottenere l’ok finale da parte di tutti gli enti previsti dal percorso autorizzativo, che sono le commissioni di Via, gli enti locali e le soprintendenze. Attualmente giacciono solo presso la Commissione di Via nazionale (i progetti al di sotto dei 30Mw sono gestiti nelle Commissioni regionali) ben 517 progetti eolici, 264 impianti fotovoltaici di grandi dimensioni che in maggioranza dovranno essere installati su terreni agricoli e altri 195 impianti agro voltaici.

Le soprintendenze stanno facendo un lavoro necessario fronteggiando una “ondata anomala” di richieste che dovranno per forza essere scremate. È inoltre legittimo pensare che le richieste bocciate siano relative a impianti ideati e progettati male e quindi da respingere. È invece quasi la norma che le Commissioni, mostrandosi molto accomodanti, chiedano alle aziende di integrare la documentazione mancante o inesatta. Spesso chi si oppone ai progetti sono le amministrazioni locali. Dire che le soprintendenze siano le uniche responsabili delle mancate autorizzazioni è distorcere la realtà dei fatti in un attacco funzionale a smantellare gli unici uffici dello Stato ancora capaci di tentare di salvare l’ambientale e il paesaggio vista la trasformazione del ministero dell’Ambiente in un ente a servizio della produzione di energia.

L’eccesso di richieste produce inoltre il rischio di fenomeni di congestione di rete e overgeneration, perché le nuove connessioni risultano concentrate soprattutto nelle regioni del sud Italia e delle Isole, che solo una corretta pianificazione degli interventi infrastrutturali possono risolvere. Peraltro, già il sud, in alcune ore e alcuni periodi ha una produzione da impianti fotovoltaici ed eolici addirittura superiore rispetto al carico totale, mentre il carico maggiore si trova a nord, dove le nuove richieste invece non soddisfano i fabbisogni. La quota dei consumi finali lordi di energia coperta da fonti rinnovabili rilevata nel 2020 (20,4%) è superiore al target del 17% assegnato all’Italia dalla direttiva 2009/28/Ce per il 2020.

L’Italia, contrariamente a quanto ci vogliono far credere, è quindi un paese virtuoso grazie, soprattutto, alla grande storica produzione di idroelettrico. Questo non significa che non bisogna proseguire con la decarbonizzazione, ma neanche procedere in ordine sparso e caoticamente, senza una attenta valutazione costi/benefici degli impatti, delle soluzioni e delle tecnologie oggi disponibili.

Per quanto riguarda le tecnologie, l’elemento determinante è la capacità produttiva di energia rispetto alla potenza installata: a causa della scarsità e della variabilità del vento, le pale eoliche in Italia producono metà dell’energia prodotta dalle pale eoliche collocate sui mari del nord e la costa atlantica d’Europa. Gli impianti nelle pianure tedesche e dei mari del nord si attestano su circa 3000 ore anno, con punte di 3700. L’impianto Thor in Danimarca (1000 Mw) è in costruzione senza incentivi puntando a 4600 ore/anno. In Italia le ore di produzione si attestano a 1720. Questi dati parlano da soli.

L’insolazione italiana, al contrario, consente al fotovoltaico una capacità produttiva eccellente a livello europeo. Il problema è che i 33 Gw di pannelli fotovoltaici previsti dal Pniec 2030 richiedono per essere installati un’area pari a 500/600 kmq. Impensabile metterli su aree agricole, anche se non coltivate, e nei centri storici. Meglio metterli sui tetti dei capannoni industriali (circa 700.000 secondo il Wwf); le aree degradate da bonificare, corrispondenti a circa 9.000 kmq; i tetti degli edifici pubblici e privati al di fuori dei centri storici, circa 760 kmq; cui vanno aggiunte tutte le aree di manovra, parcheggio e stoccaggio. Con ciò si darebbe una redditività diffusa al territorio, alle famiglie e alle Pmi, non concentrata nelle mani dei grandi operatori internazionali.

Dobbiamo ascoltare il grido d’allarme lanciato dall’Ispra sull’eccessivo consumo di suolo causato dagli impianti fotovoltaici a terra, preoccuparci per i futuri scenari e accogliere i suoi suggerimenti sullo sfruttamento dei fabbricati esistenti nelle periferie e nelle zone industriali. Essi garantirebbero l’installazione di panelli sufficienti a coprire l’aumento di energia rinnovabile complessiva previsto dal Piano per la Transizione Ecologica al 2030. Questa impostazione consentirebbe inoltre di spostare diffusamente sul territorio (aziende e privati) la redditività derivante dalla produzione di energia, invece di lasciarla a gruppi finanziari speculativi. L’altro grande intervento possibile è il ripristino della funzionalità dell’immenso patrimonio idroelettrico di cui dispone l’Italia (4300 centrali): con interventi di dragaggio per ripristinare i volumi e investendo in tecnologie informatiche si possono recuperare tutte le produzioni previste per l’eolico

Per tutto quanto esposto, Italia Nostra ritiene che sia necessario stabilire quantità, qualità e ubicazione degli impianti per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile e questo non può deciderlo l’imprenditore, ma deve essere frutto di una pianificazione pubblica, oggi del tutto assente. Basti ricordare la Direttiva Ue Red II 2018/2001 e la Strategia dell’Ue per sfruttare il potenziale delle energie rinnovabili offshore del 2020, oltre alla legge delega 53/21 e al d.lvo 199/2021; tutte norme che obbligano il governo ad emanare le discipline per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l’installazione di impianti di energia da fonti rinnovabili, nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, etc. Norme alle quali il governo si sottrae da oltre un anno alimentando l’attuale deregulation in cui si trova il settore strategico dell’energia.

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