La sicurezza energetica europea è stata finora affrontata con i paraocchi delle strategie politiche che alimentano il confronto tra Occidente e Resto del Mondo. E con la lente della concorrenza interna. Il cappio russo sulle forniture di gas è l’esito dello sforzo per aumentare i prezzi e destabilizzare i sistemi energetici, l’arma con cui la Russia vuole costringere l’Europa a indebolire il proprio supporto alla Ucraina. Ma questo sforzo è stato tacitamente assecondato, se non condiviso anche da parecchi soggetti industriali e finanziari occidentali. L’esplosione degli utili nel settore energetico è stato un risultato del tutto casuale?

Più la guerra va avanti, più la devoluzione energetica iniziata nel 2022 diventerà irreversibile. E molti paesi incontreranno difficoltà sempre maggiori nel fronteggiare i possibili blackout. A medio periodo, la guerra ucraina sui prezzi del gas distrugge l’esile strategia energetica europea, ispirata dalla utopia di una transizione indolore verso le fonti rinnovabili con l’accompagnamento del gas a buon mercato. Se la pandemia aveva offerto una piccola tregua all’atmosfera terrestre, la guerra ha rimesso in moto la macchina infernale che alimenta il riscaldamento globale.

La risposta europea è stata finora debole e incerta, tutta puntata sull’aiuto a imprese e cittadini per fare fronte a un aumento vertiginoso dei costi. Una scelta ovvia, forse indispensabile. Durante la prima crisi petrolifera degli anni 70 del secolo scorso, le politiche nazionali avevano però privilegiato il risparmio energetico. In Italia, i vecchi ricordano le domeniche a piedi e i severi limiti di velocità, fatti rispettare oltre ogni abitudine e aspettativa. Né il risparmio, né l’uso parsimonioso e consapevole dell’energia sono più al centro delle politiche europee.

Un altro fattore che incide sulla sicurezza energetica, finora trascurato, è l’impatto del cambiamento climatico. La siccità globale del 2022, battezzata come “irripetibile” dai media di tutto il mondo, ha disseppellito i cadaveri nei laghi asciutti delle Montagne Rocciose, penalizzando la produzione idroelettrica delle dighe costruite durante il New Deal e nel primo dopoguerra. Ha chiuso le energivore fabbriche cinesi del Sichuan. Ha messo a riposo vari reattori nucleari in Francia e spinto sull’orlo della crisi alcuni impianti termoelettrici italiani.

Nel 2022, le condizioni meteorologiche estreme hanno prodotto una palese instabilità energetica. In autunno, milioni di persone negli Stati Uniti, in Canada e a Cuba sono state colpite da gravi e diffusi blackout in seguito agli uragani Ian e Fiona. A gennaio, settemila abitanti di Buenos Aires avevano assistito inermi all’interruzione della fornitura di elettricità a causa di una ondata record di calore. E, a luglio, Londra aveva evitato per un soffio il blackout, dopo che la domanda di energia era aumentata vertiginosamente per via della calura estiva.

L’analisi pubblicata qualche mese fa da Climate Central, un gruppo di ricercatori indipendenti, indica il pericolo crescente di crisi energetiche per cause climatiche. I maggiori episodi d’interruzione della corrente elettrica segnalati negli Stati Uniti, dovuti a eventi meteorologici estremi, sono aumentati del 64 percento negli ultimi dieci anni, rispetto ai dieci precedenti. E, dal 2000 al 2022, le interruzioni del servizio elettrico attribuibili a estremi climatici sono l’83 percento del totale dei casi segnalati.

“I cambiamenti climatici pongono rischi significativi per il settore energetico, influenzando direttamente l’approvvigionamento dei carburanti, la produzione di energia, la resilienza fisica delle infrastrutture energetiche attuali e future, e la domanda di energia”, afferma il WMO (OMM, Organizzazione Mondiale della Meteorologia) nel suo ultimo rapporto. Il Rapporto Annuale sullo Stato dei Servizi Climatici, pubblicato lo scorso ottobre, si concentra quest’anno sull’energia, fattore chiave degli accordi internazionali sullo sviluppo sostenibile e sulla mitigazione del riscaldamento globale. Guerra e clima remano nella stessa direzione.

Il settore energetico è fondamentale per ridurre le emissioni che causano il riscaldamento globale, giacché l’energia produce oltre i due terzi delle emissioni totali di gas serra a livello globale. Nello stesso tempo, la produzione di energia deve adattarsi ai cambiamenti climatici che già si stanno verificando; al di là delle rosee previsioni di transitorio climatico di parecchi modelli allo stato dell’arte. Le politiche di adattamento non devono trascurare la risposta climatica dei sistemi energetici. Ondate di calore e siccità – assieme ad alluvioni, uragani, mareggiate e tempeste di vento – stanno già mettendo sotto pressione l’attuale sistema, dalla produzione alla distribuzione e all’uso dell’energia. E non si piò ragionevolmente contare su un alleggerimento della pressione climatica nel prossimo futuro.

L’esperienza dell’ultimo lustro indica una tendenza climatica ormai consolidata. Questa realtà mette in luce non soltanto l’importanza della riduzione delle emissioni clima alteranti, ma anche l’urgenza di adattare i sistemi energetici al clima che cambia. Questi sistemi sono il volano dello sviluppo economico e sociale e gli investimenti del settore valgono una quota considerevole del Pil di ogni paese. Gli investimenti sulla sicurezza energetica non devono trascurare l’adattamento climatico, poiché la sicurezza passa attraverso la resilienza climatica degli impianti di produzione e distribuzione dell’energia. E va fatto quanto possibile per evitare effetti di retroazione sul cruciale e complesso sistema “clima, acqua, energia” dalle possibili conseguenze disastrose.

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