Sono stati sequestrati e picchiati dagli uomini di Cosa nostra. Il motivo? Erano accusati di aver rapinato un negozio senza l’autorizzazione del capomafia. In un contesto simile è comprensibile, dunque, che le vittime di questo pestaggio non abbiano alcuna intenzione di querelare i boss che li hanno già picchiati una volta. Mancando la denuncia, però, la procura di Palermo guidata da Maurizio De Lucia non ha avuto altra scelta che chiedere la revoca della misura cautelare per i tre uomini di Cosa nostra. L’ennesima storia legata agli effetti nefasti della riforma della giustizia firmata da Marta Cartabia rischia di regalare l’impunità a tre mafiosi di rango. Almeno per quello che riguarda un pestaggio in piena regola, compiuto secondo le più feroci regole della mafia. In questo senso quello di Palermo rischia di diventare un caso studio di come le nuove leggi creino un danno gigantesco alla giustizia.

A Palermo il caso studio della Cartabia – Anche in questo caso il punto è che la querela è diventata la condizione di procedibilità per certi reati. Tra questi ci sono pure i sequestri di persona e le lesioni. Proprio di questi reati, aggravati dal metodo mafioso, sono accusati Giuseppe Calvaruso, considerato il reggente del mandamento mafioso di Pagliarelli, il suo braccio destro, Giovanni Caruso, e Silvestre Maniscalco. Il 14 dicembre del 2022 i tre sono stati condannati in primo grado con l’abbreviato per una serie di reati. Pene alte visto che a Calvaruso, ritenuto il capo della cosca, sono stati inflitti 16 anni di carcere, tredici a Caruso (entrambi sono stati riconosciuti colpevoli di associazione mafiosa) mentre a Maniscalco sono toccati 5 anni e 4 mesi.

Il pestaggio per le rapine non autorizzate – Tra i vari reati contestati anche il sequestro e il pestaggio di tre presunti ladri: erano accusati di aver rapinato, senza il permesso della mafia, un negozio di detersivi. I fatti risalgono al 2019: il proprietario dell’esercizio commerciale, che aveva subito due rapine in cinque giorni, decise di affidarsi al “servizio di sicurezza” di Cosa nostra. Caruso e Maniscalco, allora, avevano individuato i rapinatori e li avevano convocati in un autolavaggio. Li avevano bloccati, senza la possibilità di scappare, in attesa che arrivasse anche Calvaruso, il capomafia. Alla presenza del padrino, gli altri due avevano cominciato un pestaggio violentissismo: a uno dei tre ladri verrà diagnosticato un trauma cranio facciale, con la perdita di alcuni denti. La storia della punizione dei rapinatori è raccontata in modo dettagliato nelle carte dell’inchiesta che nell’aprile del 2021 porta a un blitz contro al clan Pagliarelli: un’operazione che nel dicembre scorso approda alle prime condanne con l’abbreviato.

Boss restano in carcere. Ma per altri reati – Intanto entra in vigore la riforma Cartabia, che trasforma in maniera retroattiva una serie di reati da “perseguibili d’ufficio” a “perseguibili a querela“, cioè solo su richiesta formale della vittima. Non si tratta di fattispecie di poco conto, visto che includono anche il sequestro di persona e le lesioni, pure quando sono aggravati dal metodo mafioso. Reati che erano contestati a Calvaruso, Caruso e Maniscalco, arrestati prima dell’entrata in vigore della riforma. Per i tre vale dunque il regime transitorio, che obbliga il giudice a verificare la volontà delle persone offese. Se le vittime non vogliono procedere con la querela, la misura cautelare è inefficace e il reato non si può più perseguire. È quello che è successo a Palermo: interpellati dal giudice, le vittime del pestaggio, che provengono dallo stesso contesto sociale dei boss mafiosi, si sono rifiutati di depositare querela nei confronti degli uomini che li avevano picchiati a sangue. Ai pm Dario Scaletta, Federica La Chioma e Bruno Brucoli, coordinati dall’aggiunto Paolo Guido, non è rimasto che chiedere l’inefficacia della misura cautelare per i tre. Che rimangono in carcere perché già accusati e condannati in primo grado per associazione a delinquere di stampo mafioso e altri reati. Ma se fossero stati accusati solo del sequestro e del pestaggio, seppur aggravati dal metodo mafioso, sarebbero tornati in libertà. Di sicuro per la questione del pestaggio non saranno più processati.

Anm: “Ripensare la riforma” – Ecco perché l’Associazione nazionale magistrati lancia un appello al governo: “Le recenti notizie di stampa in ordine alla probabile revoca di misure cautelari per reati diventati procedibili a querela, pur quando sia contestata l’aggravante del metodo mafioso o dell’agevolazione mafiosa, impongono un ripensamento, in tempi rapidi, delle scelte del legislatore”, dice Giuseppe Santalucia, presidente dell’Anm all’agenzia Ansa. “In presenza di tal tipo di aggravanti anche il reato che, in astratto, può sembrare di non particolare gravità – aggiunge il magistrato – assume una fisionomia incompatibile con l’affidamento alle singole persone offese della possibilità di perseguirlo in concreto, secondo logiche di deflazione del carico giudiziario che sono accettabili soltanto in riferimento a reati autenticamente bagatellari”.

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