Il primo attacco in Europa a Michel Claise, il giudice istruttore della procura federale di Bruxelles, arriva dall’Italia. No, non si tratta degli avvocati delle persone finite agli arresti nell’inchiesta sulle mazzette che – secondo l’accusa – sono state pagate da emissari del Marocco e del Qatar per influenzare le decisioni del Parlamento Ue. Ad attaccare il giudice istruttore dell’inchiesta sulle euromazzette sono infatti due parlamentari di Azione: Enrico Costa e Carlo Calenda. Che fanno sapere su Twitter di non aver gradito l’intervista rilasciata da Claise al giornale belga L’Echo, ripresa da vari giornali italiani: un lungo colloquio in cui il magistrato punta il dito contro “la cecità della politica di fronte alla corruzione” che “genera un senso di impunità” per le organizzazioni criminali, e si dichiara “molto pessimista” sulla possibilità di un cambiamento di mentalità della classe politica.

Il primo a indignarsi è l’ex sottosegretario berlusconiano, attuale presidente della Giunta per le autorizzazioni della Camera, che si scaglia contro un passaggio in cui Claise usa una metafora per spiegare in quali occasioni agli inquirenti conviene accettare un patteggiamento: “In un’intervista il magistrato titolare dell’inchiesta “Qatargate” ha detto che “i patteggiamenti sono utili a condizione che sia la Procura a negoziare, puntando la pistola alle tempie delle persone indagate”. Testuale. Da far impallidire il “tintinnar di manette””, twitta di primo mattino, citando la celebre espressione di Oscar Luigi Scalfaro.

Passa un’ora precisa e a spalleggiarlo arriva il suo leader di partito: “Ho letto l’intervista. Ed è semplicemente agghiacciante. Un altro magistrato con manie di protagonismo politico e velleità inquisitorie. Intanto due genitori sono in galera da settimane e una bambina di 22 mesi è rimasta da sola”, attacca riferendosi alla figlia dell’ex assistente parlamentare Francesco Giorgi e dell’ex presidente dell’Eurocamera Eva Kaili. Naturalmente, né Calenda né Costa accennano alla gravità delle accuse e delle prove già emerse (che hanno fatto parlare persino il ministro Carlo Nordio, il re dei garantisti, di “affievolimento della presunzione d’innocenza”). Ma sarebbe stato chiedere troppo.

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