Un faccia a faccia necessario. Dopo le polemiche suscitate dalle interviste e dalle anticipazioni del libro di memorie scritto a quattro mani con il vaticanista Saverio Gaeta, nelle quali il segretario di Benedetto XVI, l’arcivescovo Georg Gänswein, ha attaccato duramente anche Papa Francesco, Bergoglio ha ricevuto il presule in udienza privata nella biblioteca del Palazzo Apostolico. Sul bollettino ordinario della Sala Stampa della Santa Sede, quello pubblicato a mezzogiorno con le udienze e le nomine papali, monsignor Gänswein viene indicato come prefetto della Casa Pontificia. Incarico solo formalmente ancora ricoperto dall’arcivescovo poiché, all’inizio del 2020, Francesco lo ha sollevato di fatto da questo ruolo dicendogli di occuparsi esclusivamente di Ratzinger. Subito dopo l’udienza di una decina di minuti con monsignor Gänswein, Francesco ha ricevuto, come tradizione, nell’aula della benedizione, il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.

Una risposta, seppure indiretta, del Papa alle accuse che gli sono state fatte dal segretario di Benedetto XVI è possibile trovarla in due recenti interventi di Bergoglio. Il primo, durante l’omelia della messa della solennità dell’Epifania: “Adoriamo Dio e non il nostro io; adoriamo Dio e non i falsi idoli che ci seducono col fascino del prestigio e del potere, con il fascino delle false notizie; adoriamo Dio per non inchinarci davanti alle cose che passano e alle logiche seducenti ma vuote del male”. Il secondo messaggio, ancora più eloquente del primo, è arrivato all’Angelus della festa del battesimo di Gesù: “Il chiacchiericcio è un’arma letale: uccide, uccide l’amore, uccide la società, uccide la fratellanza. Chiediamoci: io sono una persona che divide o una persona che condivide?”.

Nel libro scritto con Gaeta, Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI (Piemme), annunciato dalla casa editrice appena quattro ore dopo la morte del Papa emerito, monsignor Gänswein si definisce un “prefetto dimezzato”. “Nel mio duplice ufficio di segretario particolare del Papa emerito e di prefetto della Casa Pontificia per Papa Francesco, – scrive il presule – mi sono trovato a ricoprire un ruolo che mi ha fatto sentire – per elevare il tono della riflessione con un riferimento alla letteratura colta – talvolta nei panni del goldoniano ‘servitore di due padroni’ e talaltra come il manzoniano ‘vaso di terracotta tra i vasi di ferro’. La speranza di Benedetto che io sarei stato l’anello di collegamento fra lui e il successore fu un po’ troppo ingenua, poiché, già dopo qualche mese, ho avuto l’impressione che tra me e il nuovo Pontefice non si riuscisse a creare l’opportuno clima di affidamento, necessario per poter portare avanti in modo adeguato un tale impegno. Probabilmente, quando ebbi la conferma quinquennale a fine 2017, volle mantenermi nell’incarico essenzialmente per rispetto alla nomina fatta da Benedetto, anche se fin dall’inizio era accaduto sempre più spesso che venissi scavalcato nelle mie responsabilità, poiché Papa Francesco preferiva piuttosto prendere accordi direttamente con il mio vice, il reggente padre Leonardo Sapienza”.

L’arcivescovo torna, poi, al momento della defenestrazione: “A fine gennaio 2020, sempre per restare nel paragone letterario, mi ritrovai infatti a essere un ‘prefetto dimezzato’, parafrasando il titolo della famosa opera di Italo Calvino Il visconte dimezzato. Dopo quei torridi giorni di polemiche attorno al libro del cardinale Sarah, lunedì 20 chiesi a Papa Francesco di potergli parlare e lui mi diede appuntamento per fine mattinata, al termine delle udienze. Gli fornii nel dettaglio i particolari su quanto era accaduto e gli chiesi consiglio su come agire in futuro, poiché non sempre mi era facile riuscire a prevenire problemi come quello che si era appena verificato. Lui mi guardò con espressione seria e disse a sorpresa: ‘D’ora in poi rimanga a casa. Accompagni Benedetto, che ha bisogno di lei, e faccia scudo’. Restai scioccato e senza parole. Quando provai a replicare, dicendogli che lo facevo ormai da sette anni, per cui potevo continuare ugualmente anche per il futuro, chiuse seccamente il discorso: ‘Lei rimane prefetto, ma da domani non torni al lavoro’. In modo dimesso replicai: ‘Non riesco a capirlo, non lo accetto umanamente, ma mi adeguo soltanto in obbedienza’. E lui di rimando: ‘Questa è una bella parola. Io lo so perché la mia esperienza personale è che ‘accettare in obbedienza’ è una cosa buona’”.

“La mia preoccupazione – prosegue il presule – fu riguardo al modo in cui si sarebbe comunicata la notizia all’esterno, poiché sarebbero certamente stati sollevati interrogativi sulla mia assenza, ma il Pontefice affermò che non era necessario fare nulla e andò via. Tornai al Monastero e durante il pranzo lo raccontai alle Memores e a Benedetto, il quale commentò, tra il serio e il faceto, in modo ironico: ‘Sembra che Papa Francesco non si fidi più di me e desideri che lei mi faccia da custode!’. Gli ho risposto, sorridendo anch’io: ‘Proprio così…, ma dovrei fare il custode o il carceriere?’. Poi ho aggiunto che presumibilmente era un pretesto in correlazione con la spinosa vicenda Sarah, poiché non era cambiato nulla da un giorno all’altro. Come avevo preventivato, dopo alcuni giorni di assenza pubblica cominciai a ricevere mail e messaggi nei quali mi veniva domandato che fine avessi fatto, e ovviamente non risposi a nessuno. Sabato 25 gennaio scrissi un biglietto di poche righe a Papa Francesco, comunicandogli che stavo ricevendo queste richieste di informazione e suggerendo che ormai erano passati diversi giorni di sospensione, dunque potevo eventualmente riprendere il lavoro. Il 1 febbraio mi rispose per iscritto: ‘Caro fratello, grazie tante per la sua lettera. Per il momento credo che è meglio mantenere lo status quo. La ringrazio per tutto quello che fa per Papa Benedetto: che non gli manchi nulla. Prego per lei, per favore lo faccia per me. Che il Signore la benedica e la Madonna la custodisca. Fraternamente, Francesco’”.

“Il 5 febbraio – continua il racconto – l’effimera cappa di silenzio venne infranta da un articolo del vaticanista Guido Horst sul Tagespost, che rappresentò l’innesco dell’incendio, con una quantità incredibile di post, commenti e variegate opinioni su cosa fosse accaduto nei rapporti fra il Papa, me ed eventualmente Benedetto. Mi contattò Matteo Bruni, il direttore della Sala Stampa vaticana, per informarmi che i giornalisti sollecitavano un chiarimento e che i superiori stavano concordando una risposta. In effetti, nel pomeriggio del 6 febbraio, i giornalisti ricevettero un comunicato stampa, che io vidi soltanto quando fu reso noto, nel quale si diceva che ‘l’assenza di monsignor Gänswein, durante determinate udienze nelle ultime settimane, è dovuta a una ordinaria ridistribuzione dei vari impegni e funzioni del prefetto della Casa Pontificia, che ricopre anche il ruolo di segretario particolare del Papa emerito’”.

L’arcivescovo, inoltre, scrive che “Benedetto restò dispiaciuto per questa evoluzione della vicenda e, nella citata lettera del 13 febbraio a Papa Francesco, aggiunse un paragrafo finale che mi riguardava: ‘Mi permetto ora di esprimere anche una domanda. Monsignor Gänswein soffre profondamente e in modo crescente sotto il peso del suo stato fuori senza prospettive di soluzione. Oso perciò pregare Vostra Santità di chiarire la situazione con un colloquio paterno. Da parte mia posso soltanto dire che monsignor Gänswein non ha avuto alcuna parte nell’elaborazione del mio contributo al libro del cardinale Sarah. Avendo visto il progetto del cardinale che sembrava fare di me un coautore del libro, e questo in una prospettiva che poteva insinuare un’eventuale contrarietà fra me e il suo insegnamento pontificio, Gänswein ha subito compreso la gravità di questa ipotesi e ha chiarito con una forte insistenza l’inaccettabilità di questa presentazione. Adesso si sente attaccato da tutte le parti e ha bisogno di una parola paterna’. Un paio di giorni più tardi, il Pontefice mi fissò un incontro a Santa Marta, nel quale mi confermò che non sarebbe cambiato nulla. Nessuna ulteriore risposta ebbe invece il rinnovato appello del Papa emerito a conclusione della lettera del 17 febbraio: ‘Chiedo ancora umilmente una parola sua per monsignor Gänswein’”.

“All’inizio di settembre del 2020 – scrive ancora il presule – fui ricoverato nel Campus biomedico e mi venne diagnosticata una sindrome renale, che il primario di medicina interna associò anche a un disturbo psicosomatico. Al rientro in Monastero dopo due settimane, Papa Francesco mi telefonò per informarsi della mia salute e ne approfittai per chiedergli un appuntamento, che mi fissò per il 23 settembre alle ore 16. Gli dissi che avevo inteso la mia sospensione come una punizione, ma lui mi rispose che non era così. Ribattei che tutti la interpretavano in questo modo, a cominciare dai giornalisti, e la sua replica fu che non dovevo preoccuparmene, poiché, mi disse testualmente, ‘ci sono tanti che scrivono contro di lei e contro di me, ma non meritano considerazione’. Tuttavia, quando provai a ipotizzare il mio rientro, se era vero che quella non era una punizione, reagì invitandomi a non fare progetti per il futuro e suggerendomi addirittura di dedicarmi a qualche attività pastorale, cosa che ovviamente si scontrava con la logica che mi era stata descritta, quella di dover restare nel Monastero al fianco di Benedetto XVI. Poi, una volta ancora, Papa Francesco mi raccontò alcune sue faticose esperienze in Argentina, dicendo che le volte in cui lo avevano stoppato gli erano servite per maturare”.

Twitter: @FrancescoGrana

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