Con Abdourahamane Idrissa ci si è conosciuti nel 2015. In seguito alla nota e tragica vicenda della pubblicazione della caricatura del profeta dell’Islam su Charlie Hebdo, inediti vandalismi vennero operati sui luoghi di culto cristiani a Zinder e Niamey. In quel frangente notai un articolo scritto, appunto, da Idrissa su un sito web che manifestava, stupore, sconcerto e dolore per quanto accaduto. Scoprii che l’autore in questione, politologo ed esperto in Islamologia, si trovava in quel momento nella capitale del Niger.

Da allora il nostro incontro si è trasformato in dialogo e poi in collaborazione fino a creare assieme, ad altri amici del posto, l’Associazione ‘Università del Bene Comune’. Essa ha come finalità principale di contribuire a ricreare spazi di incontro e di dialogo aperto e libero nella società. Quanto accaduto nel 2015 ha evidenziato, tra l’altro, la carenza di un luogo di scambio e di crescita politica intesa come il vivere bene assieme nell’orizzonte del Bene Comune.

Abdourahamane Idrissa è politologo con orientamento storico. Il suo dottorato in Scienze politiche, rivolto ai percorsi democratici e all’Islam politico in Africa, ebbe luogo nell’università di Florida, negli Stati Uniti. Prima di raggiungere il Centro Studi sull’Africa di Leiden in Olanda, Idrissa ha fondato e coordina il think tank Epga (Economia Politica e Governo Autonomo) che forma studenti e coordina progetti fondati su analisi di Economia politica focalizzati sulle migrazioni, il lavoro dei giovani e la demografia. Idrissa è altresì associato al laboratorio di ricerca Lasdel, basato a Niamey.

Di ritorno da Dubai via Parigi, dove sta scrivendo il suo prossimo libro sull’impero Songhay, Idrissa, dopo aver pranzato assieme, continua volentieri il momento conviviale del quale questo scambio a ruota libera è l’espressione. Per lui, ad esempio, l’Occidente vive ancora e sempre come in una situazione di ‘egemonia’ nei confronti del resto del mondo. Si pensa ancora come ‘centro’. Guarda e giudica tutto a partire da lui, con scarsa capacità di ascolto. Crede di avere molto da dare e poco invece da imparare, ma questo non lo sa o non lo vuole sapere. L’idea di superiorità non l’ha abbandonato e favorisce la sua chiusura a capire e ‘sentire’ l’altro.

E, per venire al ‘nostro’ Sahel, Idrissa riconosce che il discorso è lungo e complesso. Per passare a un tempo più vicino a noi basterebbe citare quanto accaduto in Libia nel 2011 per opera della Nato. L’uccisione di Gheddafi, l’anarchia nel paese e l’enorme quantità di armi in circolazione. Evidentemente nel Sahel sedimentava già un ‘combustibile’ pronto a bruciare o esplodere.

Possiamo citare, tra le altre cose: la grande povertà per la gente, il conflitto soprattutto economico tra agricoltori e allevatori, l’assenza dello Stato in molte zone periferiche. Per lui i conflitti a carattere etnico, di cui si molto parla, hanno soprattutto radici economiche o in reazione al timore di ulteriori esclusioni sociali e politiche come nel caso dei Peuls soprattutto nel Mali.

Per quanto riguarda il fattore religioso, preso in ostaggio da una parte dei gruppi armati terroristi, Idrissa rileva che in origine si è trattato di militanti jihadisti di origine maghrebina esiliati soprattutto dall’Algeria nel nord del Mali e ancora esterne sono state le influenze dell’Arabia Saudita dell’Islam di matrice wahabista. Questi fattori hanno operato particolarmente nelle zone rurali e dunque nei villaggi.

Come detto sopra le popolazioni Peuls, già marginalizzate, si sono sentite ulteriormente minacciate dalla ribellione dei tuareg in cerca di maggiore autonomia politica ed economica. Ciò ha condotto alla nascita di un movimento di reazione armata che ha coinvolto una parte di Peuls. In seguito si è fatto, soprattutto nel Mali e nel Burkina Faso, d’ogni erba un fascio condannando in blocco i Peuls come ‘terroristi’. A questo punto il conflitto diventa anche etnico.

Per quanto riguarda, invece, il Niger a lui sembra che le prospettive sembrino francamente inquietanti. Ogni nuova generazione di uomini politici in questo Paese sembra dimenticare la storia delle generazioni precedenti. Accade in ambito politico come un abbassamento nel livello di competenza e motivazione. L’attuale classe dirigente deriva dai movimenti degli anni 50 e 60, ma senza lo spirito di quell’epoca. Si assiste alla nascita di generazioni di élite politiche senza ideali! Non si distingue alcune direzione apprezzabile, tutto appare molto opaco.

Le classi dirigenti passate, con tutti i limiti del caso, possedevano comunque alcuni ideali o valori sui quali orientare la politica, per esempio il ‘progresso’ o la costruzione dello ‘stato’. Terminata la modernità si è giunti alla profetizzata ‘postmodernità’ nella quale questi ‘valori’ sono stati spazzati via. Nel Niger ciò non l’abbiamo assimilato!

Per quanto riguarda il ruolo possibile la ‘missione’ dell’Africa, essa, più ancora che l’Occidente e altre regioni, ha fatto esperienza, anche drammatica, di pluralismo culturale, di diversità e ha mostrato una grande capacità a con-vivere con la diversità, a modo del ‘rizoma’ di cui parlava, tra gli altri, l’opera di Edouard Glissant, della Martinica. La colonizzazione, l’Islam, il Cristianesimo, altrettante componenti che hanno messo piede e radici nel continente africano.

L’Africa potrebbe rappresentare un ‘laboratorio’ della diversità come convivialità. Proprio per questo, Idrissa sottolinea il ruolo decisivo degli intellettuali. A loro, appunto, spetterebbe contribuire alla realizzazione di questo grande cantiere. Purtroppo mancano tra loro, progetti reali di società. Lo stesso tanto decantato panafricanismo appare piuttosto come un patetico e acritico ritorno al passato, con gli idoli di sempre. Kwame Nkrumah o Thomas Sankara, senza d’altra parte alcuna traccia di spirito critico della loro storia. Gli intellettuali sembrano più interessati a piacere al potere di turno. L’intellettuale non possiede la vocazione a trasformarsi in adulatore!

E, infine, a suo parere le religioni, per loro natura, dovrebbero sprigionare ‘energia spirituale’, motivazioni etiche e spirito di unificazione. Quando una religione arriva a dividere con la violenza e magari a cercare il potere, allora tradisce la sua missione. Ben venga un politico che, per la sua appartenenza religiosa, opera onestamente per il bene di tutti!

Il nostro scambio si conclude con una semplice ed essenziale considerazione: per cambiare le cose occorre lavorare!

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Vietato sognare Zelensky e scrivere Putin con la “p” minuscola: le condanne più surreali di Mosca per reprimere il dissenso

next
Articolo Successivo

“Pianificava attacchi al cianuro”: arrestato un 32enne in Germania

next