Vandali (Renzi,Tajani, Myrta Merlino, Salvini), idioti (Gasparri, Forza Italia), eco-cretini (Il Giornale), azioni stupide e incivili (Malpezzi, Pd), eco-imbecillità (Malan, Fdi, vandalismo (Floridia, M5s), atto incivile (Delrio, Pd). Se ci si limitasse a leggere queste reazioni, si potrebbe pensare che l’azione che le ha provocate sia qualcosa di inaudito, di eccezionalmente grave; anzi, “gravissimo” (Ronzulli, Forza Italia).

Ed ecco il fatto: cinque attiviste e attivisti di Ultima Generazione versano vernice “lavabile” sulle mura esterne di Palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica. Vogliono così denunciare l’inazione e la complicità delle istituzioni politiche italiane con i grandi inquinatori del nostro pianeta.

24 ore dopo sappiamo tutto sul palazzo del Senato. Sappiamo che appartenne alla famiglia dei Medici, sappiamo che a restaurarlo fu Giuliano di Sangallo, sappiamo che nel 1537 passò alla moglie di Alessandro de’ Medici, Margherita d’Austria, detta la “Madama” (di qui il nome usato anche oggi) e sappiamo che nel 1871, dopo la Breccia di Porta Pia che portava Roma nel Regno d’Italia, divenne sede del Senato del Regno Savoia.

Lo sappiamo perché tanto inchiostro è stato versato per spiegare in cosa consiste l’“attentato” a un pezzo della nostra storia. Scoprendo che gettare vernice è “atto criminale”, ma dichiarare che Ruby era “nipote di Mubarak” non provocava la stessa unanime indignazione. Quello non era vilipendio delle istituzioni e della “nazione”?

24 ore dopo, poco o nulla sappiamo sulle ragioni profonde dell’azione degli attivisti. Ne sappiamo poco o nulla perché gli stessi media che si sono profusi in articoli scopiazzati qua e là sull’architettura di Palazzo Madama, le hanno puntualmente taciute. A loro sono bastati i titoloni – “Grave sfregio alle istituzioni” (Il Tempo), “Ecocretini. Atto criminale” (Il Giornale) – per condannare gli attivisti e provare a impedire la creazione di qualunque possibile legame di solidarietà.

Una condanna che non attiene al solo atto compiuto – versare vernice su un palazzo. Quando attiviste e attivisti hanno gettato purè di patate o salsa di pomodoro (sempre lavabili) sui vetri che proteggono alcuni famosi dipinti nei musei di mezza Europa, li hanno definiti vandali e ignoranti; quando hanno bloccato il raccordo, media e politica hanno urlato contro i disservizi procurati ai cittadini; quando, allargando il campo a lavoratori e lavoratrici, si sciopera, li hanno appellati lavativi; quando gli studenti sono scesi in strada o hanno occupato una facoltà o una scuola è stato sempre perché volevano anticipare le vacanze – anche quando le proteste erano e sono a gennaio o febbraio.

Alla condanna di qualunque forma di protesta messa in campo fa solitamente seguito un invito generico a protestare secondo altri parametri e in altre forme. Quali? Non è lecito saperlo. Anche perché se qualcuno pensa a petizioni e raccolte firme dovrebbe sapere che sono esistite, esistono ed esisteranno: ma hanno forse prodotto risultati tangibili? Hanno ricevuto ascolto da parte dei soggetti interpellati, in primis dei decisori politici? Assolutamente no.

O, forse, comincia a farsi strada la posizione espressa il 2 gennaio dal Tg1, il principale telegiornale della televisione pubblica, che si è rifiutato di mandare in onda il video dell’azione di protesta per “sottolineare come questo tipo di proteste non possa essere accettabile”. Il potere mediatico esercita un potere censorio arrogandosi il diritto di decidere ciò che è “accettabile” e ciò che non lo è. L’oscuramento parziale attuato contro Ultima Generazione rischia di allargarsi ad altri fronti di protesta nei prossimi mesi. Possiamo davvero pensare che questo non sia un vulnus alla nostra democrazia?

Una maggiore restrizione degli spazi di protesta e di agibilità politica e mediatica non è un processo repentino. Non avviene dall’oggi al domani. È, per l’appunto, un processo di scivolamento. Come quello già in corso nel nostro ordinamento penale e che, sempre l’azione di Ultima Generazione, ci permette di comprendere in tutta la sua gravità: tre dei cinque attivisti responsabili dell’azione di Palazzo Madama sono finiti agli arresti, con l’accusa di “danneggiamento aggravato”.

Una risposta resa possibile dal Decreto Sicurezza Bis del 2019 (decreto legge 53/2019), frutto del governo M5s-Lega e che reca le firme dell’allora ministro degli Interni Matteo Salvini e dell’allora Presidente del Consiglio Giuseppe Conte: quando il reato di danneggiamento avviene “in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico”, la pena non è più da sei mesi a tre anni, ma da uno a cinque. Il che rende possibile l’arresto in flagranza di reato.

La protesta degli attivisti di Ultima Generazione offre dunque squarci per allargare lo sguardo e coprire anche la dimensione odierna del potere mediatico e politico. Senza tralasciare quello economico, generoso finanziatore dei primi due. Ci scuote un po’ dall’anestesia prodotta dai media nel loro lavorio quotidiano e di affrontare il tema della disobbedienza civile come forma di lotta politica.

La condanna – mediatica, politica e finanche giudiziaria – di un sistema che si arrocca su sé stesso e che criminalizza (senza nemmeno sforzarsi di comprendere le ragioni dell’altro) non fermerà le proteste, l’acquisizione di consapevolezza e lo sviluppo di nuove forme di organizzazione e di lotta. Il nostro compito non è tanto trovare ascolto da parte delle istituzioni oggi sorde, quanto quello di sviluppare un fronte che sia capace non solo di catturare attenzione, ma di costruire un orizzonte in cui da soggetto che rivendica ci trasformiamo in soggetto che governa.

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