Il Senato si costituirà contro gli attivisti ambientali che sabato hanno imbrattato il portone di Palazzo Madama. Loro, arrestati e rilasciati, replicano “Il Senato si occupi del collasso eco-climatico”. Fosse facile, perché in quel palazzo non si sono occupati neppure del proprio: le Camere sono tra le sedi istituzionali più energivore d’Italia. Di più, con una bolletta da almeno 5 milioni di euro, sono l’emblema stesso della politica che si “gira dall’altra parte” sprecando energia e l’occasione di dare il buon esempio. Nessuno dei due edifici, ad oggi, ha uno straccio di certificazione dei consumi di luce e gas, che viene però richiesta al più piccolo comune d’Italia. Ci aveva provato l’Europa, ma gli inquilini han fatto spallucce, rivendicando autonomia finanziaria rispetto agli altri organi dello Stato e la libertà di regolarsi da soli anche in questo campo.

Dieci anni fa la direttiva europea n.27 aveva imposto a tutti gli stati membri di attuare “misure sull’efficienza energetica delle pubbliche amministrazioni centrali”. L’Italia l’ha recepita nel 2014 imponendo interventi di riqualificazione sugli immobili per “almeno il 3% annuo della superficie coperta utile climatizzata”. Per attuarli nel periodo successivo (2014-2020) ha anche stanziato 355 milioni di euro. Sarà che agli onorevoli inquilini non piacciono i cantieri, o gli obblighi in genere, fatto sta che hanno pensato di sollevare se stessi dall’obbligo escludendo le “sedi di organi costituzionali”, quali sono appunto Camera e Senato, in realtà proprietà demaniali. Così è successo che mentre le 20 amministrazioni centrali, per oltre 2200 sedi, han dovuto farsi certificare l’Ape e predisporre interventi di contenimento (risparmio), quei “santuari” in cui lavora chi fa le leggi hanno potuto rimettere ogni intervento alla buona volontà e lungimiranza dei presidenti e dei questori di turno, che sono poi gli “amministratori” dei palazzi.

Ragion per cui ancora oggi né Palazzo Madama né la Camera hanno uno straccio di certificazione energetica, quella che viene richiesta all’ultimo catasto di provincia e anche al privato che vuol vendere un immobile. Non solo. La Legge di Stabilità 2014 (n.147) aveva previsto l’obbligo della amministrazioni di comunicare i consumi energetici sull’apposito portale “Iper” creato e gestito dal Demanio proprio per valutare e monitorare i “livelli di prestazione” dei vari edifici pubblici. “La norma in riferimento a tali comunicazioni non prevede nell’ambito soggettivo di applicazione della norma gli Organi Costituzionali, i cui immobili, quindi, non sono tra le 20 amministrazioni centrali da lei citate”, risponde l’Agenzia del Demanio. Ma tutto questo è vero in parte, perché finalmente col decreto 73 del 14 luglio 2020, che attua le modifiche alla direttiva europea, anche Camera e Senato sono formalmente rientrati tra le amministrazioni cui si applica la disciplina in materia di efficientamento energetico.

Questo ritardo, unito a interventi su base volontaria e scoordinati tra loro, si riscontra nella “bolletta” energetica delle due Camere: nel primo semestre 2022 Montecitorio ha speso 1,5 milioni tra luce e riscaldamento, la media aggregata del Senato 2018-2022 è pari a 2,1 milioni. Il tutto mentre piovevano centinaia di milioni di euro per efficientare gli immobili della pa fino al più piccolo municipio d’Italia. Solo per i comuni, per dire, a ottobre il Mite ha stanziato altri 320 milioni. Dal Senato, oggi nell’occhio del ciclone, fanno sapere che “si sta provvedendo all’installazione di misuratori dei consumi elettrici e di gas naturale per disporre delle informazioni indispensabili alle diagnosi energetiche per ciascuno di essi e progettare gli ulteriori interventi di risparmio energetico”. Spiegano che “si è iniziato a sostituire gli infissi standard, quando necessario, con infissi a maggiore tenuta termica” e che il Demanio sta svolgendo un audit finalizzato alla diagnosi energetica “di due degli edifici che costituiscono il patrimonio immobiliare in uso a questo ramo del Parlamento e questa Amministrazione”.

La Camera ha fatto di più. Gli uffici di Montecitorio lo rivendicano inviando una tabella sui consumi che attesta una riduzione del 14% nel quinquennio 2017-2021. Il bilancio preventivo 2022 però riporta una maggiore spesa per 1,5 milioni a causa dei rincari energetici. Tra sei mesi, con il consuntivo 2022, si vedrà se la rincorsa all’efficienza autoregolata dalla politica ha dato i suoi frutti. Intanto non piovono arance, ma vernice arancione.

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