Il 23 ottobre si è insediato il Governo Meloni, il primo governo autenticamente e spavaldamente di destra. Sarebbe un po’ presto per una valutazione dell’operato dei singoli ministri, non sono passati i famosi 100 giorni all’americana, tuttavia è stata approvata la prima finanziaria e quindi qualcosa possiamo dire.

Qui ci interessa un primo esame, pur approssimativo, dell’operato del ministro dell’Istruzione e del Merito (acronimo Mim), candidato non risultato eletto nelle recenti elezioni del 2022 in quota Lega di Salvini e quindi ripescato come ministro, ex deputato Giuseppe Valditara.

Il suo esordio ministeriale aveva destato una notevole curiosità nel mondo scolastico. Con gesto alquanto audace e presuntuoso, Valditara ha cambiato il nome della sua ditta; non più ministero dell’Istruzione, ma dell’Istruzione e del Merito. L’ultima volta che il nome di questo ministero è stato modificato è stato un passo significativo. Si è passati, almeno sul piano nominale, dalla Pubblica Istruzione alla semplice Istruzione segnando, di fatto, l’ingresso a pieno titolo del settore privato anche in questo campo, una volta gelosamente pubblico.

Per alcuni un progresso, per altri un cedimento. Che cosa poteva significare allora l’aggiunta del termine merito, peraltro così impegnativo? Forse un cambio di prospettiva e finalmente il meritato riconoscimento del ruolo centrale dell’istruzione, della scuola, dei docenti e del personale scolastico? In definitiva, la nuova denominazione aveva suscitato notevoli aspettative, sia tra i sostenitori che tra gli avversari.

Queste speranze, a distanza di pochissimi mesi, si sono rivelate delle illusioni. Con il ministro leghista non sembra sia cambiato molto nel mondo della scuola, nella sostanza. Invece è cambiato molto nella retorica, o come si direbbe oggi nella narrazione degli eventi. Il ministro, più che ogni altro suo collega, si è distinto per interviste, dichiarazioni, interventi. Valditara, naturalmente in splendida solitudine perché questo è il nuovo stile della leader e dei suoi seguaci, ci ha parlato ampiamente del suo ideale di scuola che ci riporta indietro di molti decenni, a un mondo poi guastato dal Sessantotto che nell’immaginario di Valditara è stato l’alfa e l’omega di tutti i mali italiani.

Una scuola in cui il docente, preferibilmente maschio a questo punto, era considerato, stimato, riverito e temuto. Una scuola, magari leggermente autoritaria, ma in cui tutto filava liscio e gli studenti stavano al loro posto. I rampolli della borghesia andavano ai licei e tutti gli altri nelle scuole tecniche e professionali. Anche la pedagogia conservatrice dava un suo contributo per cui, secondo il ministro, l’umiliazione serviva come molla per un presunto riscatto morale.

Insomma, in due mesi il ministro ci ha regalato un breviario del suo piccolo mondo antico, palesemente mistificato, e lo ha proposto come nuovo approdo per la scuola, i docenti e la società nel prossimo futuro. Un ritorno a un passato mitico che ormai non esiste più da molti decenni e non a causa del Sessantotto, già passato da tempo ormai – ma forse Valditara non se n’è accorto – bensì per l’operare di forze ben più potenti.

Ma fino a questo punto, siamo rimasti sul piano delle opinioni e delle enunciazioni, condivisibili oppure no, e sempre avvolti nella nebbia delle parole. Poi c’è stato il varo della finanziaria, il vero banco di prova per la capacità gestionale e operativa di un ministro che rappresenta più di un milione di lavoratori, buona parte dei quali altamente qualificati almeno dal punto di vista formale. Dalle furibonde lotte che caratterizzano ogni finanziaria il ministro del Merito è uscito con le ossa rotte, ma sorridente. La scuola, i docenti, il personale scolastico sono appena menzionati nella prima finanziaria della destra.

Di fatto la scuola è stata ignorata. Lo stanziamento previsto a questi scopi è ridicolo, appena 500 milioni, dall’edilizia scolastica alle supplenze, molto meno di quanto regalerà il governo delle destre ai ricchi professionisti della flat tax, decisamente più influenti. Non solo, ma è proseguita la linea dei tagli all’organizzazione scolastica, con l’accorpamento delle sedi e la riduzione del personale, forse in nome dell’efficienza. Queste misure sono un’eredità del governo Draghi che il ministro del Merito non ha messo in discussione e prontamente attuato.

Quindi non c’è stata nessuna svolta, con merito o senza merito, rispetto alla gestione precedente. E la valorizzazione della professione che spesso Valditara chiama in causa come sua stella polare? Dal punto di vista economico non si è quasi visto nulla, oltre al danno la beffa. In realtà il Mim ha stanziato a questo scopo 150 milioni di euro. Se ipotizziamo che i docenti meritevoli sono solo il 30% del totale, si tratterebbe di circa 500 euro lordi all’anno. Un merito di modesto valore, verrebbe da dire. Nel frattempo 500 milioni sono stati stanziati per gli Its Academy privati che coinvolgono appena qualche decina di migliaia di studenti.

La scuola pubblica e i docenti possono aspettare. Le priorità della destra sono altre, come peraltro ci si poteva aspettare. La bandiera del merito è appunto solo una bandiera, qualcosa da far sventolare per fare un po’ di demagogia a poco prezzo. Che possiamo dire allora di questi primi due mesi dell’operato del ministro del Mim Valditara? Semplicemente che si è dimostrato poco utile al suo dicastero, agli studenti, ai docenti e al personale scolastico.

Forse dire che è un ministro inutile è un’esagerazione perché secondo la saggezza popolare, che spesso è illuminante, tutto è utile anche se per vie che per ora rimangono oscure. Sicuramente un ministro parolaio che, come si usa fare a destra, invece di far la fatica di cercare i quattrini necessari se la cava con qualche discorsetto retorico-nostalgico e qualche medaglietta di latta, naturalmente al merito.

Articolo Precedente

“Aridatece Mario”: Calenda in Senato attacca il governo Meloni e invoca il ritorno di Draghi

next
Articolo Successivo

Governo, la conferenza stampa di fine anno della presidente Meloni: la diretta

next