di Angelo Perrone

Una gioventù nuova e coraggiosa è protagonista della protesta contro la dittatura teocratica islamica. La repressione raggiunge un grado efferato nei regimi, come quelli che strumentalizzano la fede religiosa, che pretendono di penetrare ogni ambito civile, dalla politica al costume, alla vita individuale.

L’orrore in nome della religione. Come può succedere? Cresce l’indignazione per tante donne picchiate brutalmente e uccise in Iran dalla polizia “morale”. Le coscienze sono sconvolte. A ciò si aggiunge ora la vista dei corpi dei giovani con il cappio al collo, penzolanti dalle gru dopo le esecuzioni capitali nella pubblica piazza. L’umanità è dissacrata: inevitabile distogliere lo sguardo per il disgusto.

Il reato commesso da questa gioventù? Terrificante e inverosimile: è “l’inimicizia verso Dio”. Individuata cogliendo arbitrariamente pretesti nei comportamenti quotidiani, o estorcendo dichiarazioni con la tortura e le confessioni farlocche. Il regime, che non ama la libertà delle persone e non rispetta le proprie donne, manda a morte i suoi giovani.

Tutto ha avuto inizio da questioni di scialli, mal messi sul capo, e capelli, troppo esposti al vento. Particolari dell’acconciatura femminile, che sarebbero sfuggiti all’attenzione, prima del dramma. Sufficienti però innestare la reazione del regime, erettosi a difesa, nientemeno, della virtù (maschile) insidiata dalle spericolate manovre femminili condotte con i capelli capricciosi. È l’ideologia paranoica a temere danni etici irrimediabili.

La pena capitale è sventolata dagli integralisti perché sia di avvertimento per la gente e rafforzi il morale dei guardiani, messo alla prova dalle contestazioni. Si vorrebbe ribadire la forza statale, mentre se ne rivela così l’intrinseca debolezza. Succede in Iran e ovunque sono al potere le ricchissime e arroganti teocrazie. Eccentriche nei modi, sistematiche nelle repressioni.

Non è la prima volta e non succede solo lì. La storia lo insegna, la cronaca lo ricorda. Si trova sempre qualcuno al potere capace di uccidere in nome di un Credo, per quanto nessuna religione predichi l’odio o insegni la morte. Così il nome di Dio si fa estremo, radicale, sanguinoso. È un paradosso diffuso, quello dei sanguinari della fede, che si ripete nel tempo e nei luoghi. C’è sempre un tornaconto nell’uso pretestuoso della religione.

L’intolleranza ha mille volti. Alcuni cruenti. È presente in Occidente in svariate manifestazioni. Prende la forma della discriminazione etnica, sessuale, economica, del fanatismo razziale e di genere, si annida nell’oltranzismo con cui sono condotte certe battaglie opinabili, ma legittime, per esempio in difesa della famiglia o contro l’aborto.

Quel radicalismo insofferente riveste persino, all’estremità dell’Europa, la forma sacrilega della benedizione impartita dal patriarca ortodosso Kirill alla guerra scatenata da Vladimir Putin in Ucraina contro un popolo che ha il solo torto di voler essere libero e scegliere la propria strada senza subire l’arroganza del vicino prepotente.

L’abuso della fede è alla base della nascita di tanti regimi autoritari e alimenta le violenze diffuse compiute nel mondo dai gruppi di fanatici. Genera però anche insofferenza e suscita ribellione. Non a caso la reazione arriva da questa gioventù che è nuova, entusiasta e combattiva disposta a perdere tutto, anche la vita, di fronte all’oscurantismo dei regimi. Si prova un brivido ascoltando le ultime parole del giovane condannato a morte con gli occhi bendati: “Non leggete il Corano, ascoltate musica”. Chissà come ha potuto coltivare l’idealismo nella barbarie.

L’oltraggio alla vita innocente raggiunge il suo culmine nei paesi come l’Iran perché il regime si fa legge da sé spergiurando il nome di Dio e pretendendo di asservirlo alle proprie mire di potere. In questi Stati, l’oppressione è elevata perché l’ideologia è totalizzante e avvolge l’uomo nella sua interezza. Investe ogni aspetto della convivenza, penetra la politica, il diritto, il costume, le espressioni dell’individualità. Esige assoluta obbedienza ai dettami falsamente religiosi. Se il male è compiuto in nome del bene, allora non c’è limite al male che può essere inflitto. Perché sempre praticato con l’arbitrio di avere Dio dalla propria parte.

Perciò la rivolta contro il regime islamico, diretta nel profondo verso divieti politici e imposizioni sociali, assume la forma della rivendicazione di aspetti minimi della libertà individuale, come l’abbigliamento, i comportamenti in pubblico tra innamorati, le espressioni verbali tra sessi. Il primo, elementare livello delle libertà umane, mancante in quel paese. Quasi una protesta “creativa” contro l’ottusità.

Quando gridano ai guardiani della rivoluzione “voi siete il nostro Isis”, gli studenti iraniani smascherano il regime, lo nominano per quello che è, cioè un’organizzazione basata sull’oppressione e l’intolleranza. Le denunce dei giovani attribuiscono così una paternità istituzionale al fanatismo dei cani sciolti che seminano terrore nel mondo con le loro azioni sanguinose. Colgono il nesso inscindibile tra terrorismo e potere statale, quando è assente la dimensione democratica della vita pubblica.

Lo sguardo del mondo occidentale è troppo distratto di fronte al dramma che coinvolge la gioventù iraniana o che altrove investe i paesi strutturati sugli stessi modelli autocratici. Così si mostra incapace di mostrare solidarietà a quel popolo e di sostenerlo nello sforzo, anche solo ricordando la loro lotta e i nomi di coloro che si stanno battendo coraggiosamente.

La lotta di liberazione grava in maniera troppo pesante sulle spalle di quei giovani. Sono inermi e non violenti. Subiscono la repressione governativa e però traggono da spontaneità e diffusione dei bisogni una forza radicale. Possono cadere le teste. Ma il desiderio di questa gioventù non può essere decapitato.

Le democrazie occidentali, sollecitate a reagire alle prevaricazioni e a rispondere alle richieste di aiuto, non dovrebbero dimenticare la lezione che si trae dalla vicenda: la libertà individuale è imprescindibile dalle regole dello Stato di diritto, perché incompatibile con il fanatismo e l’intolleranza, non solo di matrice religiosa.

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