Il governo di Boris Johnson aveva firmato in aprile un Memorandum of Understanding (non un trattato internazionale) con il governo del Ruanda per deportare in quel paese i richiedenti asilo, di qualsiasi nazionalità, arrivati illegalmente in Gran Bretagna. Secondo il piano ideato da Johnson le richieste di asilo sarebbero state esaminate dal Ruanda e non dal Regno Unito, che però si impegnava a pagare un biglietto aereo di sola andata, il mantenimento e l’assistenza legale per i deportati. La mossa sarebbe servita a dissuadere altri migranti dal raggiungere il suolo britannico e avrebbe procurato consensi al governo. Tuttavia, grazie a proteste e ricorsi, nessun immigrato clandestino è stato finora trasferito in Ruanda.

Il 19 dicembre, la High Court di Londra, investita del problema, ha sentenziato in merito alle numerose azioni legali intentate contro la politica di deportazione in Ruanda, decidendo che è lecito che le richieste di asilo dei migranti vengano prese in esame in Ruanda e non nel Regno Unito. Quasi tutti i media hanno presentato la decisione come un grande successo del governo. In realtà lo è solo in parte e solo per quanto riguarda il progetto in generale e in astratto. Scrivono infatti i giudici:

La proposta del governo di ricollocare i richiedenti asilo in Ruanda è stata oggetto di un ampio dibattito pubblico. È quindi importante avere in mente il ruolo del tribunale. Nelle richieste di Judicial Review il tribunale risolve le questioni di diritto. La Judicial Review è lo strumento per garantire che gli organi pubblici agiscano nei limiti dei loro poteri legali e in conformità con i principi giuridici che regolano l’esercizio delle loro funzioni decisionali. Inoltre, il Parlamento richiede che gli enti pubblici agiscano in modo coerente con i diritti e le libertà garantiti dalla Cedu: si veda la sezione 6 dello Human Rights Act 1998. Il tribunale non è responsabile delle scelte politiche, sociali o economiche per individuare, ad esempio, il modo migliore per rispondere al problema dei richiedenti asilo che cercano di attraversare la Manica su piccole imbarcazioni o con altri mezzi. Quelle decisioni, e quelle scelte, il Parlamento le ha affidate ai ministri. Ma non sono quelle le questioni che la corte deve risolvere. Il ruolo del tribunale è solo quello di garantire che la legge sia correttamente compresa e osservata e che i diritti garantiti dal Parlamento siano rispettati

I giudici non avrebbero potuto sostenere che sempre, in qualsiasi caso, la linea d’azione escogitata dal governo sarebbe stata illegale, però, al momento di valutare gli otto casi sottoposti alla loro attenzione, hanno sentenziato che la decisione del governo favorevole alla deportazione andasse annullata in tutti gli otto casi perché non aveva tenuto conto delle circostanze individuali di ciascuno dei ricorrenti (vedi: “438. Tuttavia, il modo in cui il ministro dell’Interno ha attuato la sua politica in una serie di singoli casi dinanzi a noi, era viziato. Per le ragioni di cui sopra, principalmente nella Sezione C della presente sentenza, le seguenti decisioni (specificamente identificate nella precedente sezione C) prese in relazione ai seguenti Attori individuali erano viziate e saranno annullate”).

Naturalmente il governo può ritentare tenendo conto delle indicazioni della corte. Resta da vedere se ne varrà la pena: il programma, tra viaggi, soggiorni, ricorsi, avvocati, interpreti e tribunali, potrebbe rivelarsi molto oneroso per i tempi lunghi e il denaro speso che, va ricordato, è quello dei contribuenti. Bene ha fatto il tribunale ad evitare uno scontro con il governo su un tema legalmente fragile (anche se moralmente forte) che avrebbe potuto attirargli le solite accuse di voler condizionare la politica.

Invece la lunga sentenza sottolinea tutti i punti in cui, in ciascuno dei singoli casi, le decisioni concrete del governo non sono conformi alla legge e si rivelano inapplicabili, un lungo catalogo di errori del ministero degli Interni di un governo che pare sia stato in grado di ideare una linea politica lecita, ma non di attuarla nei limiti della legalità.

Sul punto di chi ha vinto e chi ha perso, la sentenza ha qualche aspetto shakespeariano. Nel Mercante di Venezia, Shylock, che vuol far valere un contratto che gli assicura una libbra di carne del debitore che non sarà puntuale nei pagamenti, esulta quando Porzia, travestita da avvocato, gli dà ragione:

Una libbra della carne di quel mercante è tua, la corte l’aggiudica, e la legge l’assegna. E tu devi tagliare questa carne dal suo petto, la legge lo permette, e la corte l’aggiudica

ma poco dopo, all’atto pratico, deve ricredersi:

Aspetta un momento, c’è qualcos’altro: questa obbligazione qui non ti dà neanche una goccia di sangue; dice espressamente “una libbra di carne”. Prendi quindi la tua penale, prenditi la tua libbra di carne, ma se, nel tagliarla, versi una sola goccia di sangue cristiano, le tue terre e i tuoi beni sono, per le leggi di Venezia, confiscati dallo stato di Venezia.

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