Il comportamento dei pm di Firenze “o è eversivo, o è anarchico oppure è un atto di cialtronaggine“. Come al solito Matteo Renzi non usa il fioretto nella guerra mediatica contro i magistrati che hanno chiesto il suo rinvio a giudizio nell’indagine sulla fondazione Open. Fallita la strada della denuncia per violazione delle prerogative parlamentari (il fascicolo è stato archiviato in poche settimane) da qualche tempo l’ex premier martella su un altro presunto atto illegale del procuratore aggiunto Luca Turco: aver inviato al Copasir una copia del fascicolo dell’inchiesta, comprese chat e mail sequestrate al suo “fraterno amicoMarco Carrai, adempiendo a una formale richiesta arrivata dall’organismo parlamentare che vigila sulla sicurezza della Repubblica. Il problema, secondo Renzi, è che quell’invio è arrivato dopo un provvedimento della Cassazione che aveva dichiarato illegittimi i sequestri a Carrai, ordinando la restituzione del materiale “senza trattenimento di copia“. Pertanto Turco ha violato la legge e dev’essere punito, ha sostenuto il leader d’Italia viva nel question time in Senato. Trovando subito sponda nel ministro della Giustizia Carlo Nordio, che annuncia di voler mandare i suoi ispettori a Firenze. Ma davvero il pm ha disobbedito sfacciatamente a un ordine della Suprema Corte, trattenendo materiale che “avrebbe dovuto distruggere“, come dice l’ex premier? Per rispondere a questa domanda ilfattoquotidiano.it ha raccolto due autorevoli pareri tecnici.

Copasir e Cassazione, le date della vicenda – Per comprendere questa vicenda, però, serve prima fissare alcune date. Il 19 ottobre 2021 la Procura chiude l’indagine sulla fondazione Open e deposita gli atti: da quel giorno le 90mila pagine del fascicolo non sono più coperte da segreto. Il 6 novembre il Fatto pubblica per primo i dettagli dei versamenti milionari arrivati negli ultimi anni sul conto corrente del leader Iv, proventi della sua attività privata di conferenziere e consulente: due bonifici arrivano direttamente dal governo dell’Arabia Saudita, precisamente dal ministero delle Finanze (43.807 euro) e dalla Commissione statale per il Turismo (39.930 euro). Si tratta di rapporti economici, fino ad allora inediti, tra Renzi e il regime di Mohammed bin Salman, che si aggiungono al già noto stipendio da 80mila euro l’anno percepito da una fondazione controllata direttamente da Riad. Tre giorni dopo lo scoop del Fatto, cioè il 9 novembre, il Copasir a chiede alla Procura fiorentina gli atti dell’indagine per approfondire eventuali profili di sicurezza nazionale. La richiesta però resta inevasa per lungo tempo. Nel frattempo, il 18 febbraio 2022 la Cassazione annulla i sequestri a Carrai e ordina ai pm la restituzione del materiale senza trattenerne copia. Qualche giorno dopo, l’8 marzo, Turco invia l’intero fascicolo al Comitato parlamentare, compresa l’annotazione della Guardia di Finanza che contiene l’analisi dei dispositivi dell’imprenditore amico di Renzi. E ne spiega le ragioni: anche se le informazioni “sono processualmente inutilizzabili“, scrive il pm, “considerate le finalità istituzionali del Comitato, non condizionato da regole processuali, ritengo comunque doveroso” trasmetterle.

Ferrua: “La Cassazione non ha ordinato la distruzione degli atti” – Il procuratore aggiunto, quindi, non ha preso l’iniziativa di nascosto, ma spiegandone le ragioni per iscritto. Con un’interpretazione che è sicuramente inedita (d’altra parte non si ricordano precedenti simili) ma di certo non illegale né abnorme. A confermarlo al fattoquotidiano.it è Paolo Ferrua, uno dei più importanti processualpenalisti italiani, professore emerito dell’università di Torino: “Il pubblico ministero ha motivato la scelta con argomenti che possono riuscire più o meno convincenti, più o meno fallibili, ma appaiono comunque dotati di una loro plausibilità, tale da escludere, a mio avviso, qualsiasi responsabilità disciplinare“, spiega. Il pm Turco quindi non dovrebbe temere nulla dall’ispezione del ministero, “anzi, a mio avviso se la dovrebbe augurare”, dice il professore. Che ricorda un elemento fondamentale: “La Cassazione non ha ordinato la distruzione della copia, il che implicherebbe la sua eliminazione fisica: ha ordinato di non trattenerla. Il problema è di stabilire se questo ordine, che va senza dubbio rispettato, vada inteso anche come divieto di inviare la copia ad una autorità, nella fattispecie il Copasir, che possa vantare un legittimo diritto per i propri fini istituzionali alla conoscenza di quel materiale“. In effetti il Copasir non è un organo qualunque: in virtù della sua particolare missione, ha il diritto di acquisire persino atti d’indagine coperti da segreto. Possibile che non abbia il diritto di ottenere materiale già a disposizione delle parti, nonché pubblicato su tutta la stampa nazionale?

Musolino: “Turco può avvalersi del principio ‘ora per allora’”- C’è poi un altro aspetto da considerare: anche se l’invio del materiale è avvenuto dopo la decisione della Cassazione, il Copasir lo aveva richiesto più di cinque mesi prima, quando il sequestro non era ancora stato dichiarato illegittimo. Secondo Stefano Musolino, sostituto procuratore alla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e segretario di Magistratura democratica, il collega fiorentino può avvalersi in questo senso anche del principio dell'”ora per allora“: “Se gli atti sono a mia disposizione nel momento in cui il Copasir me li chiede, io posso ritenere di regolarmi, anche in seguito, in base a ciò che valeva in quel momento. Un’interpretazione che non è affatto peregrina”, dice al fattoquotidiano.it. Il magistrato è duro anche rispetto alla decisione di Nordio di inviare gli ispettori a Firenze: “Mi pare che il ministro non sia stato lucidissimo in questa scelta. Durante il question time ha dimostrato di conoscere molto bene la vicenda, quindi dovrebbe sapere che i colleghi di Firenze si limitano a ragionare in via interpretativa, come avviene in moltissimi procedimenti. Per verificare il loro operato avrebbe avuto a disposizione altri strumenti meno invasivi: mandare l’ispezione non mi pare una necessità, ma una mossa volta a soddisfare un interlocutore politico“.

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